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20170520 VM ScimmiaIl filosofo Carlo Sini, in un suo video (rif.1) va a spiegare l’origine della magia del cerchio. Forse l’espressione non è corretta, forse dovrei presentare il discorso di Sini come "l’origine dell’importanza del cerchio", o magari dire “Spiegazione del perché il cerchio è un simbolo estremamente potente per l’uomo nell’antichità”. Deciderà il lettore come riassumere il tutto.

Le scimmie catarrine (rif 2) , si retrocede di un quaranta milioni di anni, abitavano la foresta pluviale. Queste potevano arrampicarsi sugli alberi come molte altre loro vicine, ma preferivano scendere dagli stessi e pascolare nella savana. Al pari di molti primati erano caratterizzate da un grande dimorfismo sessuale, ovvero i maschi erano fisicamente molto più grandi delle femmine. Caratteristica non evidente nella razza umana, la quale ancora non è presente nello scenario di cui si parla, ma che può per analogia essere ricondotta alle avventurose catarrine.

La regola base di quelle scimmie è “ognuno mangia per i fatti suoi”, e non è una regola eccentrica nel mondo dei primati dell’epoca: cibo ce n’è per tutti, ognuno va a raccoglierlo dove meglio crede, quando ha fame, e se lo mangia. Sini non lo dice, ma a me sembra il Paradiso terrestre narrato dalla Bibbia. Succede qualcosa in quella foresta e molte specie, per necessità e non per diletto, sono costrette ad abbandonare quel habitat tanto ricco ed abbondante. Le nostre scimmie catarrine conoscevano la savana, già avevano sperimentato l’ebbrezza di scendere dagli alberi e si spostano, forse, immagino, con maggior dimestichezza di altri primati nel nuovo ambiente. Nella savana i pericoli sono innumerevoli, e chi mangia da solo finisce per diventare una facile preda; la regola, l’abitudine, la caratteristica per cui “ognuno mangia da solo” deve essere cambiata..

Ecco la novità, le catarrine cambiano la loro cultura e mangiano in gruppo. E come si organizza il gruppo per controllare il territorio circostante? Si organizza in cerchio, è l’unico modo per controllare tutta l’area esterna, un’area irta di potenziali minacce letali. Da qualsiasi punto arrivi un attacco, il compagno riesce ad avvisare la comunità che si può organizzare per la salvezza o, nella peggiore delle ipotesi, per limitare le perdite. Cosa sia accaduto alle nostre scimmie catarrine il video non lo racconta, anche se da una ricerca in internet scopro siano state portate dagli antichi romani sino alla attuale rocca di Gibilterra, dove sono l’attrazione principale dei turisti. Sini ci parla dei primi ominidi che al pari delle catarrine furono obbligati ad abbandonare il “Paradiso terrestre” per avventurarsi nella savana. I nostri antenati, al pari delle scimmie, furono sicuramente costretti a scoprire l’importanza del cerchio per le ragioni sopra descritte, le caratteristiche umane sono tali che non lasciano scampo a questa scelta. E cosa comporta tutto ciò? Comporta che mangiare diventa un rito collettivo, forse il primo dei riti che andranno a caratterizzare l’antichità umana. Nasce una prima norma, una prima legge: “È vietato mangiare fuori dal circolo”.

Inizia qui l’idea di comunità, la prima caratteristica di ciò che è uomo. Comunità significa accettare le regole del gruppo, significa dover comunicare con gli altri, significa capire che cosa gli altri ci stanno dicendo. Nel caso specifico, se il vicino ci “spiega” in chissà quale modo, che un predatore si sta avvicinando, c’è da concordare una reazione collegiale che nel caso umano non è dettata dal solo istinto, cosa che caratterizza in modo preponderante tutti gli altri animali. Il lettore deve sapere che Sini è un esperto ed uno studioso del linguaggio, da lui considerato il principale strumento tecnologico che caratterizza l’uomo. Da buon filosofo Sini ha sempre il problema di capire che cos’è un uomo e quando si può parlare di umanità.

E arriviamo a capire l’importanza di quel cerchio di primati che per le ragioni sopra esposte devono modificare il loro comportamento per avvicinarsi a ciò che è l’uomo, ovvero un essere che si dà delle regole, che si organizza in gruppo, che comunica l’uno con l’altro. L’essere istintivo, animale quindi, che viveva nel paradiso terrestre pluviale, deve evolvere, e lo deve fare velocemente se vuole sopravvivere alle nuove terribili condizioni cui la storia arcaica lo sottopone. È bene ricordare, in epoca dove la filosofia imperante e assoluta pare essere il liberismo, che al contrario di ciò che affermava Adam Smith, l’uomo non nasce come essere egoista, che facendo i suoi interessi senza volerlo dà beneficio alla collettività.

Sini parlando delle catarrine e dei primi umani che immaginiamo avessero alcune cose in comune anche con quelle scimmie, ci dice che il processo di umanizzazione prende avvio dalla perdita di egoismo, dall' iniziare a coordinarsi coralmente, in un gruppo coeso, in società. L’esempio delle catarrine lo attesta: nella savana chi è solo, chi pensa al suo egoistico interesse, se ha le caratteristiche fisiche dell'uomo (non ha artigli, non ha veleno, non è particolarmente veloce e non ha la forza del gorilla, che nella foresta "paradisiaca" è rimasto), deve abbandonare la filosofia egoista per armonizzarsi a quella di gruppo. Un gruppo che nasce, che si crea passo passo, partendo da quel “cataclisma” che non riusciamo a conoscere nei dettagli ma di cui conosciamo solo le conseguenze.

E focalizziamolo quel momento storico, uno dei momenti cruciali della storia dell’umanità dove a pieno titolo possiamo dire ancora l’uomo non c’era, ma da cui possiamo intuire molte cose che ancor oggi ci portiamo dietro (e dentro). Necessità di organizzarsi socialmente, si scriveva, ma anche la consapevolezza che quel primate non era il cacciatore che oggi conosciamo, il terrore di ogni specie vivente; al contrario, era forse una delle prede più ambite da parte di ogni carnivoro. Forse da quella memoria incastrata nel nostro DNA nasce la necessità di armarsi, di sentirsi protetti e sicuri. Sicuramente i primi manufatti, o tra i primi manufatti, ci furono le armi, e con un po’ di immaginazione capiamo anche il perché di quella necessità e forse comprendiamo perché, ancora oggi, il tema delle armi e del sentirsi difesi, sicuri è così pregnante e direi d’attualità.

Ma torniamo a parlare del cerchio, di quel gesto che segna l’inizio del percorso verso l’umanizzazione, verso l’umanità. Quell’animale allora debolissimo, poco organizzato a vivere in gruppo, ancora non dotato di parola e di linguaggio, riuscì a far squadra, riuscì a far cerchio, modo di dire che ha una collocazione storica molto più remota di quanto si potesse immaginare, l’un con l’altro. Ed il cerchio nella notte dei tempi, diventa un simbolo magico, ricco di significati quando ancora non c’è la parola che possa raccontare questi significati. Parola che approderà a quel gruppo di scimmie (i nostri antenati) e potrà farlo perché, una volta scesi dagli alberi, i nostri primati hanno due arti disponibili per afferrare gli oggetti, lasciando libera la bocca da tale utilizzo, che quindi non svilupperà la mandibola, diventata inutile al trasporto degli oggetti (o del cibo, cosa che avviene nei quadrupedi, come i gatti ad esempio, che usano la bocca anche per trasportare la prole in luogo sicuro).

La posizione eretta incentiva uno sviluppo della vista, a discapito dell’olfatto, ma tutto ciò gioca a favore della produzione di suoni, suoni che millenni dopo utilizzeremo per parlare. E la necessità di parlare, di comunicare, abbiamo già visto dove si radica, dalla necessità di esser società o, ed è la stessa cosa, dalla necessità di sopravvivere come specie. E negli anni a seguire, milioni, questo primate inizierà a rapportarsi con i propri pensieri, e non potrà non riconoscere nel cerchio, nella figura rotonda che andrà anche a rappresentare, chissà, magari in origine servendosi di un bastone sull’arenile di un fiume per poi, in un secondo tempo, incidere nel legno o nella roccia il cerchio che sarà un simbolo intriso di significati. Abbiamo visto a quando risale l’origine di questo incontro tra la figura geometrica e l’uomo e possiamo intuire che volesse, quel simbolo, rappresentare una pluralità di significati. Cosa per altro che caratterizza la comunicazione simbolica, che si contrappone a quella della scrittura. Il cerchio voleva dire “vita”, “salvezza”, “comunità”, “appartenenza al gruppo”, “rito”, “affetti”, e molto altro ancora.

Il lettore può ora comprendere perché il cerchio, il primo dei simboli, ipotizziamo, abbia significati così vari, e forse anche ambigui, come solo i simboli possono avere, e come la psicanalisi va a ricordarci. Il cerchio può anche simboleggiare una recinzione, una sorta di chiusura interiore, o una più vaga perdita di libertà. Cosa che nel nostro percorso storico abbiamo pure verificato essere realmente accaduta. Non si poteva più mangiare quando si voleva, ma le regole del gruppo, della società hanno iniziato  a farsi sentire nella storia umana. Qui mi fermo, Sini realizza un video di tre ore per spiegare come il linguaggio, i simboli e la parola, scritta e orale, siano legati tra loro. Come le cose si siano evolute nei milioni di anni e comprendere cosa li unisce e cosa li divide, non è sempre facile. Anzi, direi non lo è mai. Eppure in questa complessità si nasconde l’uomo, che tra le scimmie è quella che sa parlare, ovvero che sa comunicare l’una con l’altra trasferendo anche concetti complicati come lo sono questi di cui sto scrivendo.

L’origine di tutto ciò si cela nella nascita di quel cerchio, milioni e milioni di anni fa, cerchio che fu poi analizzato dal primo “Einstein” di quel tempo remoto, o forse più che uno scienziato dovremo considerarlo un “Leonardo”, una sorta di artista con doti intellettuali spiccate. Di questo primo grandioso nostro progenitore non sappiamo né che nome avesse, né se un nome l’aveva. Sini, in questo lungo video, ci narra anche di chi riteneva le prime figure non siano state disegnate dall’ominide, ma siano state scoperte quando disteso schiena al suolo, prima di dormire, iniziò ad osservare le stelle e scoprire che alcune di esse associate in una certa combinazione, avevano forme riconducibili a fenomeni della sua esperienza. Vi si potevano individuare forme assimilabili a quelle degli animali che lui cacciava e che per lui erano altresì divinità. Quelle bestie erano per lui fonte sia di sostentamento che di morte.

Ed erano anche rintracciabili nel cielo stellato, molto lontano da dove lui riposava. Chissà, forse sempre guardando il cielo, questo essere molto simile alla scimmia, notò anche una correlazione tra il cerchio ed il sole, che non poteva fissare, per la sua forza, ma che aveva la stessa forma magica del circolo dove assieme agli altri, ai suoi amici, alla sua famiglia, ai suoi affetti, alla sua comunità, lui si ritrovava a consumare il pasto. Cerchio che poteva notare, perfetto, nella luna quando, a volte sì e a volte no, strana questa cosa, si lasciava guardare. Trovo emozionante questo racconto, dove si parla di mito, di astronomia primordiale su cui si radica l’astrologia, tema che da sempre affascina l’uomo. Ma si parla anche di storia, si parla di arte, ma anche di scienza, si parla dell’uomo, anche quando lui uomo, forse, ancora non era.

Mirco Venzo, Treviso 16/05/2017 #qzone
Foto rilevata dal web, una scimmia catarrina

Rif 1 https://www.youtube.com/watch?v=r4rpJ9Q0Id0&t=11415s
rif 2 https://it.wikipedia.org/wiki/Catarrhini

 

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