q slide 005j

Cerca

20170930 VM MontiLibroportico, un’associazione culturale di Carbonera, un comune della periferia di Treviso, mercoledì 27 settembre ha ospitato il fotografo Luciano Monti. Monti è un artista attaccato alla tradizione analogica, e durante la serata ha illustrato le ragioni della sua scelta, ed il perché seguita a lasciare in un angolo le tecnologie digitali che oggi la fanno da padrona.Si è poi soffermato in particolare su un lavoro che l’ha occupato ed appassionato per anni, a partire dalla fine degli anni ’80: ritratti ambientati dove i protagonisti erano tutti appartenenti alla classe nobiliare.

"Che cosa significa fare un ritratto? Significa cogliere l’essenza della persona che abbiamo di fronte, cercando di andare oltre alle maschere che tutti noi abbiamo addosso". Significa pure parlare del nostro mondo, di chi siamo e di che cosa ci occupiamo, ecco quindi che il ritratto dev’essere ambientato per parlare di dove noi operiamo e di che cosa ci interessiamo. I soggetti rappresentati nelle foto sono per tanto spesso proposti in saloni ampi e spaziosi, in cui alle spalle compaiono affreschi, lampadari barocchi o mobili raffinati. A volte la persona ha alle spalle una biblioteca o si fa immortalare nel suo studio circondato da libri. Ancor prima di focalizzare la psicologia della persona abbiamo già compreso, grazie a questo tipo di scatto, che la persona è di cultura elevata (o da importanza alla cultura), è benestante, è circondata dal bello e da cose eleganti e preziose.

Mi permetto di precisare che cosa s’intende per preziose, riferendomi non solo al valore del manufatto, ma anche alla sua storia. Quella sedia, quel mobilio, quella credenza, parlano di un’epoca andata, di un periodo cui il soggetto immortalato (e la sua famiglia) non vogliono dimenticare. Mi aiuta a comprendere quest’aspetto un episodio che si riconduce ad una mia amica (ex amica) che mi spiegava di aver cambiato tre divani in sei o sette anni. E’ facile dedurre che gettando via il divano questa ragazza (l’età non è più quella di una giovane, ma mentalmente costei credo debba ancora superare l’adolescenza) spera di gettare via la storia che quel divano ha vissuto, vuole dimenticare il pezzo di vita ad esso associato e le persone che vi si sono sedute. Questo per il primo, per il secondo e facilmente accadrà anche per il terzo divano, sempre che trovi anche in questo caso un "gonzo" che gli paghi la quarta scelta.

Lei ripudia la sua vita e gli incontri che fa, come se fosse colpa del divano dove quelle persone si siedono, se sono persone infami (o se lei li reputa tali), dopo averli conosciuti e frequentati. Le persone immortalate da Monti al contrario della mia ex amica (in uno di quei divani mi ci ero seduto anch’io, e lei rottamando il divano pensa aver rottamato anche me -assieme a molti altri, sia chiaro-) vogliono conservare il ricordo di chi hanno frequentato, della storia che han vissuto. In una parola sono orgogliosi del loro passato e delle loro conoscenze, della loro Storia. Questo da valore a quegli oggetti che sono preziosi sì economicamente, ma anche da un altro punto di vista, sono reperti di una storia che merita d'esser ricordata, ed in questo senso sono importanti soggettivamente. Parentesi, se questi oggetti hanno importanza soggettiva significa che se in quella sedia ci si siedono "loro" raccontano qualcosa, ma se in quella sedia mi ci siedo io, parte della narrazione è alterata dalla confusione. Si sono creati i presupposti per un immagine, un racconto "viziato".

Detto diversamente in questi oggetti s’inserisce un pezzo della psicologia del singolo, della persona ritratta. E come fare a fare emergere il pezzo della psiche mancante? Come farebbe un psicanalista: dialogando! Il ritrattista/fotografo è uno psicologo e per delle ore parla del più o del meno con chi ha di fronte, cercando con un occhio di cogliere l’angolo giusto e le condizioni tecniche idonne per un buon scatto (luce, geometrie e tutti gli elementi compositivi di una foto, quelle che i circoli fotografici ci spiegano) ma nello stesso tempo, con l’altro "occhio" deve seguire i discorsi della persona che si farà fotografare. Da quei preziosi minuti di scambio emerge la personalità del soggetto, quella che dovrà ispirare la foto. Luciano ci spiegava che lo scatto era questione di un secondo. Un click, massimo due (in molti casi) dopo di che le persone si ritiravano nella loro vita. Il tempo concesso al fotografo era da considerarsi terminato.  Non mi dilungo troppo su un punto che il lettore dovrà cogliere da solo… E’ chiaro che in un simile contesto la filosofia del digitale perde di significato. Se tu hai due click a disposizione per il lavoro che ti ha portato via mezza giornata, che te ne fai di una macchina che scatta 500 foto a costo zero? E’ la qualità che fa la differenza, non la quantità e questa esula dal mezzo tecnico (anche no, ma non entro in questo dedalo).

Vengo ora alla mia esperienza personale di ritratti, sviscerata con l’amico Giorgio. Prima di ogni lavoro invitiamo la ragazza a bere uno spritz (o altro) per fargli vedere i nostri lavori e per dialogare con lei. Tre su quattro non accettano quest’invito e anzi si defilano pensando “Ma cosa vogliono questi? Che facciano le foto e morta li”! Queste ragazze non han capito nulla e già quest’atteggiamento ci fa comprendere che avremmo perso del tempo. Un lavoro fotografico di ritratto non è bello perché il soggetto è esteticamente armonioso, (cosa che quasi tutte queste presunte modelle ritengono vero, partendo dall'assioma che loro sono "fighe" e se non vengono bene è perchè il fotografo non ha saputo riprenderle o peggio, perchè non sa usare il foto ritocco - Scusa, ma se sei "figa" che cosa devo modificarti a fare? Rovino la tua perfezione, sciocca!) bensì perché si riesce a far emergere quell’anima, quella psiche interiore di cui Monti parlava. E però se chi hai di fronte vuole farsi fotografare solo se riceve un tot di euro, o se dice, “Scatta, che cosa vuoi chiacchierare a fare? Io e te non abbiamo nulla da dirci"! Già quest’atteggiamento sancisce un muro e quindi la sessione sarebbe una perdita di tempo se si accettano i parametri "montiani".

Ultimo riferimento al dialogo avuto con l'artista “La cosa bella di rapportarsi con queste persone (i nobili ndr) è che loro non han bisogno di mettere una maschera per apparire in un certo modo o in un altro, non sono persone arricchite che erano una cosa ed oggi sono un'altra e per tanto apparivano così e oggi vogliono apparire colà... Loro son sempre se stessi". Monti ci fa capire che la loro specificità la proteggono isolandosi dal mondo circostante verso cui alzano un muro. Il difficile è varcare i cancelli e le siepi delle ville in cui vivono, ma una volta fatto ciò hai una persona che non si vergogna di nulla e si fa vedere per quel che è. Il 7 Novembre Libroportico ospiterà Fabio Fuser, altro fotografo amante dei ritratti, speriamo dedichi qualche parola su come lui approccia a questo genere. Sicuramente dello spazio verrà dato alle foto nei concerti, altra sua peculiarità.

Mirco Venzo, Treviso, 27/09/2017 #qzone
Foto Giorgio Grassato con il cellulare.

rif. 1 http://libroportico.it/

CookiesAccept

NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta. Per saperne di piu'

Approvo

Il presente sito web utilizza cookies tecnici e cookies di terze parti. Proseguendo nella navigazione acconsentirai all'informativa sull'uso dei cookies.

Leggi di più