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20171012 DG santerasmo 1Accarezzavo l’idea da tempo, mi chiedevo solo quale potesse essere il periodo migliore per allontanarsi qualche ora dai percorsi abituali, nel mio frequente girovagare a Venezia. E così decido di andare a Sant'Erasmo un venerdì mattina, a fine maggio. La giornata quasi estiva è splendida. Non ho cercato informazioni, desidero che sia una scoperta. Nella mia fantasia immagino distese di carciofi tutti ordinati in fila. Trovo invece un mondo a parte dove il tempo si è fermato. Da Fondamente Nove, dopo Murano e Vignole, è la prossima isola. Tre i punti di approdo del vaporetto: scendo alla fermata Chiesa, la seconda fra Capannone e Punta Vela. Pochissima gente, non ci sono turisti oggi, il bello di scegliere un giorno qualunque. Una piazza aperta e soleggiata, poco più in là c’è un minimarket, addirittura uno sportello di banca. Mi sorprendo nel vedere qualche automobile, alcuni furgoncini Ape muoversi agevolmente dai prati alle strade, e biciclette corrose dalla salsedine.

Senza una mappa non conosco le misure, ma vorrei camminarla tutta: incontrare la sua gente e vedere questo lembo di campagna circondata dal mare. Porto con me solo una piccola bottiglia d'acqua e un pacchetto di pavesini. Ogni volta durante le mie gite spero di trovare un panificio o un fruttivendolo lungo la via: ma qui, presa dall’entusiasmo, non mi accorgo che il centro abitato si dirada immediatamente, e non ci sono altri negozi.Mi ispira la prima strada bianca, dove iniziano gli orti. La terra è sabbiosa e i diversi appezzamenti sono quasi sempre senza recinzioni. Tutto mi appare rigoglioso e bello, perfino dove è evidente qualche segno di incuria e abbandono. Un ortolano con un secchio sottobraccio sta raccogliendo piselli, mi avvicino e mi fermo a parlare. Si chiama Bruno, è pensionato da qualche anno. Ammiro le sue coltivazioni, davvero si nota in lui una grande passione alla quale ora può dedicarsi a tempo pieno. Giustamente orgoglioso, mi fa notare la varietà di prodotti, perfino il mais per le sue galline. Non conviene economicamente, ma vuole essere sicuro di ciò che mangia, niente diserbanti né altri veleni. Incuriosita chiedo dei carciofi che non ho ancora visto. "Quelli - mi spiega - stanno dall'altra parte dell'isola dove il terreno è diverso, meno sabbia e più argilla. Lì crescono meglio, non si ammalano. L’ultimo inverno però è stato molto freddo e la produzione ha risentito delle gelate, il raccolto quest'anno è scarso".

Non ha fatto sempre il contadino, il signor Bruno. Mi racconta di quando lavorava il vetro in fornace, a Murano. Entrato prima di compiere 11 anni e rimasto lì fino all'età di 65, in pratica una vita. E ancora lo chiamano ogni tanto, quando hanno bisogno di qualche pezzo particolare per i famosi lampadari. Moltissima gente qui era legata alla vicina Murano per lavoro. Tante fornaci hanno chiuso, o si sono spostate nell’entroterra veneziano. C'è crisi, come dappertutto: il prodotto di qualità fa fatica a stare sul mercato. Vorrei rimanere ancora per sentirlo raccontare. Chiedo se posso fargli una foto. Nessun problema dice, quando lavorava il vetro lo fotografavano tutti, così ha girato il mondo senza mai andar via. Mi indica per dove proseguire, è una strada privata ma può passare chiunque.

Cammino fino all'argine, il confine tra orti e laguna. L’odore di salmastro si unisce al caprifoglio in piena fioritura sulle siepi. La strada diventa sentiero, erba alta e farfalle. Sole tra le nuvole, cielo che a tratti si fa minaccioso. Non vorrei che mi sorprendesse la pioggia, non c'è alcun riparo nei dintorni. Curva sulla bassa marea, con stivali di gomma fino a metà coscia, una donna sta cercando vongole. Sciacqua più volte il contenuto di un grosso recipiente. Si accorge di me e lentamente si avvicina alla riva, sorridendo. Con fierezza mi fa vedere il raccolto di oggi. Questa volta è andata bene, insieme alla verdura dell'orto sarà un ottimo pasto. E intanto accenna ad altri discorsi, che vorrebbe dire e non dire: la sua disoccupazione, la casa malsana, la necessità di un restauro e gli intralci burocratici, gli effetti del Mose sull'ambiente marino. C’è un grande attaccamento alla propria terra, il desiderio di non andare via nonostante le innumerevoli difficoltà. Immagino che sia così per tutti i settecento abitanti di Sant’Erasmo. Ci salutiamo con una stretta di mano e dagli occhi azzurri di lei traspare un senso di gratitudine, forse per i pochi minuti e le parole che abbiamo condiviso.

Il percorso ora è più selvaggio. Un varco fra agli arbusti mi mostra il litorale, con pochi passi scendo sulla sabbia mista a conchiglie e residui vegetali, ogni tanto un cuscino di erbe fiorite. Spiaggia libera con i primi segni di inizio stagione, due bambini che giocano a rincorrersi, una donna distesa al sole, una rete da pallavolo come in attesa: si respira una meravigliosa tranquillità. Risalgo al sentiero dove più avanti intravedo quello che probabilmente è l’unico ristorante dell’isola. Ma oggi proseguo senza pensare al pranzo, osservo, e tanto mi basta. Finalmente ecco i famosi carciofi, quelli rimasti alla fine del periodo di raccolta, disseminati ovunque e non sempre in perfetto ordine come li avevo immaginati. Alcuni sono ben curati, altri abbandonati alle erbacce ma l’insieme è suggestivo, ci sono persino cespugli gialli di ginestre e i campanili di Venezia all’orizzonte. Strada facendo mi stupisce un vigneto rigoglioso, dal colore verde chiaro delle foglie presumo sia di uva bianca. Sapevo che qui si produce anche vino, è frutto del recupero di una antica tradizione e dev’essere un prodotto speciale. Nel camminare in solitaria sono di nuovo al punto di partenza, la piazza della chiesa. Forse ho percorso mezza isola, cosa faccio adesso? Troppo presto per andarmene via, mi manca da visitare tutta l’altra parte.

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Le nuvole sono sparite tutte. Il sole ora scotta davvero, abbaglia di luce intensa le poche case e si riflette sulla laguna. Oltre a non avere portato con me nemmeno un panino o un frutto, mi rendo conto che sarebbe stato utile anche un cappello. Gli edifici sono sempre più distanti, i terreni coltivati lasciano il posto a una zona dove non c’è anima viva. Mi inoltro per una strada polverosa, diritta che non si vede la fine, alla mia destra tamerici in fiore, a sinistra grovigli alti di rovi. Da lontano mi arriva l’eco di voci su una spiaggia, chissà quale, non riesco a capire la geografia di questo luogo sperduto. Una chiamata dal telefono mi riporta la mente alla realtà. La famiglia mi pensa. “Come va? Dove sei, tutto bene?”… “Sì, tutto benissimo, non c’è niente qui ma è stupendo!”…

Cammina e cammina, come nelle favole. Dove finiscono le siepi ritrovo l’asfalto, che stranamente mi rasserena: quella strada polverosa davvero pareva senza una meta. VENDITA MIELE dice un’insegna, il cancello aperto mi invita ad entrare e davanti a me si presenta uno scenario fantastico, un orto-giardino ospita una quantità di arnie coloratissime e subito mi trovo ad attraversare un immenso nugolo di insetti che sembrano impazziti. Il proprietario, a piedi nudi tra verdure e fiori, con voce alta nel brusìo assordante mi tranquillizza spiegando che si tratta di uno sciame in cerca di una nuova casa, è sufficiente aspettare che la regina trovi un posto dove fermarsi e tutte le api la seguiranno. Intanto ascolto incuriosita i suoi racconti, le giornate in quel piccolo paradiso lontano dalla frenesia dei turisti. Siamo seduti a un tavolino osservando lo sciame che pian piano si raccoglie su di un ciliegio. L’uomo parla volentieri e mi offre del vino. Si scusa di non averlo tenuto al fresco, evidentemente non aspettava ospiti oggi. Vorrei rifiutare, non sono abituata a bere così a stomaco vuoto… ma per compagnia ne prendo mezzo bicchiere, mi sembra un segno di buona accoglienza da parte sua. Chiedo che vino è, lo sento abbastanza alcolico ma profumato, e ho talmente sete che mi entra in circolo nel giro di pochi minuti procurandomi un leggero stordimento. Fra una chiacchiera e l’altra, diluisco l’effetto sorseggiando la poca acqua rimasta nella mia bottiglietta. Mezz’ora trascorre in fretta, si sta bene qui, il sole occhieggia tra il fogliame della pergola. Vorrei comprare del miele ma le scorte dell’anno passato sono finite ed è troppo presto per quello nuovo. Sarebbe stato bello portare a casa un souvenir… Mi accontento di qualche foto al volo, le arnie, lo sciame, l’ingresso dell’abitazione così diversa, come diversa è la vita in questo luogo.

Riprendo la strada ma non so dove sia l’arrivo, forse l’ho già sorpassato, ho una vaga sensazione di déjà vu. La stanchezza si fa sentire, le gambe ormai vanno avanti per inerzia e non c’è nessuno da poter chiedere informazioni. Inizio a preoccuparmi: ho deciso, il prossimo che passa lo fermo. Se mai passerà...  Come un miraggio in lontananza appare un puntino rosso... vrrrrrrrrrrrrrr… è un Ape con a bordo un uomo e una donna. Per attirare l’attenzione agito in alto le braccia e il mezzo, avvicinandosi, rallenta. “Devo tornare a Venezia, quanto manca all’imbarcadero?” L’uomo risponde che la prima fermata del vaporetto è lontana più di un chilometro e mi offre un passaggio, se mi adatto a salire dietro. Non poteva capitarmi una fortuna più grande, in questo momento! Seduta alla meno peggio fra gli arnesi, con il vento addosso mi tengo stretta nelle curve che sembra di prendere il volo, ridendo fra me per la piccola avventura. Minuti di pura felicità. Siamo già arrivati, scendo scavalcando la sponda laterale e ringrazio della sorpresa che mi hanno fatto. La signora allegramente aggiunge… “Scommetto che lei non si aspettava di fare un giro in Ferrari!!!...

Alla fermata ci sono alcune persone in paziente attesa, mi pare gente del posto. Un anziano trova un pretesto qualsiasi per scambiare due parole. Approfitto volentieri, spesso i discorsi degli anziani si rivelano interessanti. Ha 86 anni molto ben portati, l’aspetto semplice e curato, e la conversazione è piacevole. Appena sente che sono di Treviso gli si illumina lo sguardo e inizia a raccontarmi la storia della sua vita. Nato a S.Erasmo, da piccolo si ammalò gravemente rischiando il peggio. Nell’isola, in quel tempo molto più abitata di adesso, c’era la levatrice ma non un dottore, e fu necessario chiamarne uno da fuori che si fermò diversi giorni per curare il bambino. Una volta guarito, per “cambiare aria” su consiglio del medico venne ospitato a Roncade, dove aveva dei parenti. In campagna trascorse gli anni della scuola, l’infanzia tra zii e cugini. Nessun riferimento a situazioni di guerra, povertà o altre miserie, solo una lieve nostalgia. Ed è bello, nel ricordo, il suo legame con la terraferma.

Daniela Grassato - Treviso, 11 ottobre 2017 #qzone
Foto Daniela Grassato

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