Mi ero pure io dimenticata di me, come tutti. Mi pensavo e vivevo in modo distratto e superficiale, come se non valessi abbastanza per essere degna della mia stessa considerazione, mentre agli altri riservavo tutte le attenzioni e le lodi anche in caso di successi minimi o, addirittura, oserei dire con il senno di poi, nulli: così mi avevano insegnato a fare. Mi era stato detto fin da subito che non avrei potuto volare, e ancora prima che mi spuntassero le ali mi convinsi a tenerle chiuse, addirittura nascoste.
Nessuno ebbe percezione di me, soprattutto positiva, se non mia madre, che però doveva tenere a bada tutto il cortile, perché non c'era giorno in cui io non subissi qualche angheria da qualcuno, che fosse il gallo o la capra. Perciò crebbi, crebbi e basta. Spettatrice di me stessa, come al cinema: il film era il mio però, con i personaggi sbagliati, però... e il, la protagonista praticamente assente, giustificata, ma questo lo capii molto poi. Tutto lo capii molto, troppo poi.
Cominciai ad avere qualche dubbio sul mio ruolo all'interno della scena quando mi accorsi che avevo il colore delle piume diverso, che le mie zampe erano diverse, che il mio modo di starnazzare era diverso e che persino il mio modo di pensare era diverso. Diverso da chi? Da chi era certamente, a detta di tutti, meglio di me, più bravo di me, più intelligente di me, più bello di me, più tutto rispetto a me: i miei fratelli e le mie sorelle.
Loro, gialli come l'oro, io grigia come la nebbia, loro piccoli e carini, io grassoccia e goffa. Secondo tutti non c'era storia: io non andavo degnata neppure della più piccola considerazione. Mia madre soffriva terribilmente per questo, ed io la vedevo stare male e volevo morire, perché non sapevo cosa fare ma sapevo, anzi, credevo di essere io la causa del suo dolore.
Spesso mi allontanavo dal gruppo e mi specchiavo nell'acqua del lago vicino alla collina e vedevo me, me diversa da tutti. Ci stavo ore ed ore, e nessuno mi cercava.
Osservavo in silenzio, ascoltando il rumore del vento che si schiaffeggiava con l'acqua, quelle meravigliose creature bianche che lì abitavano. Erano perfette, in volo e anche quando, planando dolcemente, si appoggiavano per galleggiare sulle onde leggere.
Ogni volta che tornavo a casa mi sentivo persa, e il mio desiderio di essere come quegli angeli del cielo era più forte di ogni altro sentimento, anche del mio considerarmi disgraziatamente diversa.
Un giorno presi la decisione che cambio' tutta la mia vita, me ne andai dall'aia in cui ero nata. Era verso fine primavera, il sole sorse presto quella mattina e l'aurora illuminava appena l'orto del padrone. Mi staccai da mia madre e senza voltarmi imboccai la stradina che portava al lago come sempre, ma diverso da sempre. Io ero diversa, ad ogni passo mi sentivo diversa.
Ad un tratto mi accorsi che stavo contando i miei passi: uno, due, ... cinquanta, cento... mille. E mentre contavo cantavo. E mentre cantavo volavo. E mentre volavo cambiavo: colore, forma, dimensione. Nonostante la straordinarietà di ciò che stava succedendo, non provai né paura né stupore: era come se tutto quello che mi stava capitando fosse già scritto dentro di me e che io lo sapessi da sempre.
Volai libera e "diversa" per ore, sopra il cortile dove ero nata vidi i miei fratelli e le mie sorelle che correvano dietro alla madre, e non riconobbi nessuno di loro, mi guardarono tutti e nessuno riconobbe me. Volai sopra al lago, e incrociai le ali delle bellissime creature bianche che mi invitarono a danzare nel cielo con loro, e con le nostre ali dipingemmo nuovi orizzonti, solo nostri.
Volai sopra a tutto il mondo, e quando decisi di scendere per riposare mi specchiai nel solito posto: finalmente mi riconobbi e la mia gioia fu immensa quando riuscii persino a chiamarmi per nome, il mio vero nome. La mia voce divenne melodia e in un attimo mi svegliai e mi ritrovai stesa sul letto, nella mia camera rosa antico, dalle solite tende di pizzo bianco.
Alzandomi andai alla finestra, la mia immagine si riflette' sul vetro: mi riconobbi, mi chiamai per nome e aprendo la finestra volai via, con le mie meravigliose ali bianche. E finalmente fui io. Finalmente.
Testo liberamente ispirato alla fiaba di Hans Christian ANDERSEN "Il brutto anatroccolo"
di Arianna Bidoli Anselmi
Si specifica che l'aggettivo "diverso/a" e altre ripetizioni (ad es. del verbo riconoscere),sono volute e non casuali, per rendere il senso del valore positivo che per ciascuno di noi dovrebbero avere l'identità personale e la nostra originalità: il riconoscimento di chi siamo e di come siamo, da parte nostra e di chi ci circonda, è vitale. Non dimentichiamolo.
Foto e monotipo Caterina Codato / Handmade ecologic paper Cartiera Clandestina /Monotipo stampato al torchio presso Scuola Internazionale di grafica Venezia. (50x35). 2016
Questo testo ha ispirato il Libro di Artista "La Gabbia" creato sempre da Caterina Codato.