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20171127 VM Carlo SiniLa verità, (per i greci antichi, segue dal rif. 1) questa verità è quindi ciò che diventa palese, che viene rivelato, che diventa noto, che viene strappato dall'oscurità, dal dimenticatoio (la presente serie di articoli fa riferimento ai video rif. 2-3).

Il poeta è portatore di verità

Chi è il poeta nel tempo antecedente alla scrittura? È colui che racconta il mito, che parla delle gesta, di cosa abbiamo fatto come popolo, ci parla dell’onore (rif. 4). Se non c'è un poeta che testimonia le nostre imprese, chi siamo noi? Siamo una delle innumerevoli foglie che cadono in autunno e il vento porta via. Al contrario se il nostro agire viene raccontato, e a quei tempi il poeta era colui che testimoniava, che narrava, che raccontava alla collettività, ecco che anche quando non ci saremo più ci sarà chi si ricorderà di noi e, sin tanto che ciò avverrà, noi saremo vivi. È questo che l'uomo vuole più di ogni altra cosa: esser immortale, e l'esser ricordati è un modo per essere immortali. 

La verità quindi sta nella testimonianza, il poeta in questo senso altro non è se non un testimone, anzi, è il testimone! E ciò è vero, in una qualche misura, ancora oggi: quanti sono i fatti, i delitti che vengono rivelati solo se vi è un testimone? Quel delitto, quell'assassinio, quell'evento politico certo sappiamo che è avvenuto, ma è avvolto nell'oscurità sino a che non c'è chi ce lo svela, lo toglie dall'oscurità attraverso la sua testimonianza. Si comprende quindi perché il poeta è legato alle muse a quelle figure che "avendo visto tutto sanno". Va ora precisata una cosa: perché la conoscenza è legata alla testimonianza? Al vedere le cose, al viverle di prima persona? Perché siamo nella cultura dell'oralità. Non ci sono ancora i libri e la conoscenza è legata soprattutto all’esperienza, e quindi all’esserci in prima persona. Le cose le so perché c'ero, primo stadio; e le cose sono avvenute perché c'è chi le racconta, secondo stadio. Per raccontare serve prima ricordare; se dimentico, tutto torna nel buio, lì dove non si sa se c’è o non c’è.

Il ricordo vale anche per le conoscenze pratiche: se uno fa una cosa ma poi se ne dimentica, che cos'ha imparato? Che verità trattiene? Nessuna. La conoscenza (e la verità) passano per il ricordo, per la testimonianza e per il racconto. Cosa ricorda il poeta alla comunità dei non scriventi? Cosa racconta attraverso i miti? Racconta (ricorda) a tutti chi siamo, da dove veniamo, come ci dobbiamo comportare, come si appronta una battaglia, un matrimonio, come si onorano i defunti, cos'è che ci dà onore lo di è già detto, ma per contro ci dice anche cosa ci dà disonore... Il mito è un modo per trasmettere i valori della comunità nel tempo, ed i valori sono basilari come scritto recentemente (rif. 5) nella Grecia antica e non solo, vale per tutte le altre culture, quando non c'è lo scritto la conoscenza si tramanda oralmente. E perché serve un poeta (o lirico) per ricordare? Perché la rima, (il canto) facilita la memorizzazione e questo è il primo passo per trasmettere l’informazione da una persona all’altra, da una generazione all’altra. (ricordo al lettore che si sta parlando delle civiltà dove la scrittura non c'è ancora).

La rima, la musicalità, aiutano a ricordare più dettagli del racconto. Il poeta poi attraverso la piacevolezza del racconto lo rende più origliabile, degno di essere riproposto; se non si rende piacevole, se non si attrae l’attenzione dell’ascoltatore, la verità del racconto non viene trasmessa. Si ferma dentro chi non l’ha saputa far circolare fuori di sé e viene persa per sempre. La fantasia, l'esagerazione sono quindi parte essenziale del mito perchè senza di esse la storia non si tramanda, si arena nella notte dei tempi e la verità che voleva trasmettere ritorna nell'oscurità, (nella leth - Lete era il fiume dlel'oblio - rif. 6). Esempio, io ricordo a fatica il mio codice fiscale, ma se lo dico a te, non lo puoi ricordare; al contrario, se ti narro l'Iliade o l'Odissea con la magia che vi è insita, con le gesta di quei grandi eroi, qualcosa ti ricordi. E fin tanto che ricordi, trasmetti: puoi a tua volta fare da testimone di queste verità.

Il lettore inizia a comprendere che cosa vuol dire il filosofo Sini? Capisce perché nei millenni della civiltà orale la verità è ciò che dice il poeta e poco altro? Capisce anche che la poesia è piacevole per esigenza, ma la vera funzione della poesia non è estetica bensì è trasmettere valori, idee, verità. Ancora, prima di procedere con la nostra storia: s’immagini di perdere tutto ciò che è nel nostro PC. Tutti i documenti, le nostre ricerche... che cosa rimane a noi? Solo ciò che ricordiamo. Il ricordo è sapere, è il sapere di una comunità (orale o non orale), è ciò che si tramanda da una generazione all'altra. Senza la poesia, al tempo delle civiltà orali, molto, tutto (o quasi), sarebbe andato perduto. Senza queste conoscenze, probabilmente, noi oggi non saremmo qui. Ecco perché il poeta è portatore di verità nella civiltà orale ed è una figura basilare per la comunità tutta.

Sorge qui un problema che, manco a dirlo, quei popoli avevano ben individuato: se la parola è testimonianza, se la parola è rivelatrice, è anche vero che la parola è portatrice di menzogna. Esiodo, poeta greco, ce lo ricorda: "I poeti mentono troppo!" . “Ma come”, dirà il lettore, "...si esalta il poeta che è testimone, che è rivelatore, ma lo si mette in discussione sostenendo che può mentire"? Non era poi così sprovveduta la civiltà dell'oralità e loro sanno che la parola può essere menzognera. Non a caso uno degli eroi più apprezzati nel mondo dell'oralità greco era proprio Ulisse, il più abile a mentire. Il mito stesso, attraverso la figura di Ulisse, mette in guardia l’ascoltatore su quanto ci vien detto.

Si badi bene che la menzogna, insita nella parola, è una caratteristica prettamente umana. Lo sa la PNL affermando che il 93% delle percezioni le raccogliamo dal non verbale. Nel Medioevo i teologi dibattevano se gli Angeli potessero parlare e la tesi, prioritaria, che sosteneva il NO, riteneva queste creature capaci di penetrare le informazioni (la verità) direttamente nel Divino e per tanto non necessitavano di comunicare oralmente ciò che avevano percepito. Sottintesa a questa visione delle creature celesti vi è la voglia di togliere loro uno strumento di menzogna, giacché solo chi parla può mentire e se l’Angelo non parla, per definizione, manco può mentire, cosa inimmaginabile per una creatura celestiale.

E allora come si difendeva da questo fatto la società dell'oralità? Si difendeva attraverso la tradizione. Una cosa era vera perché si era tramandata di generazione in generazione. "Si è sempre fatto così ed allora è giusto che sia così...". Per questa gente il setaccio del tempo scrolla via le impurità, trattenendo solo ciò che ha sostanza, ciò che è importante, in ultima analisi ciò che è vero. Ancor oggi chi crede nei testi sacri ritiene che quelle parole siano rimaste immutate nei secoli e le ritiene importanti, più di tutte le altre, proprio per questo. In un certo qual modo il fatto che queste parole siano ascoltare e ricordate dopo duemila anni è il motivo che le rende ancor oggi degne di massima attenzione per chiunque, credenti o non credenti: se si ricordano significa, evidentemente, che hanno insito qualcosa di importante, (o se preferite, qualcosa di vero). Qualcosa che merita la massima attenzione. Lo stesso vale per l'Iliade e l'Odissea, tra i tanti poemi che c'erano a quei tempi; se questi sono quelli che ci son stati tramandati, evidentemente (ecco come ancor oggi NOI ragioniamo con i codici dell'oralità) significa che hanno da dire cose più importanti di quelli che son stati dimenticati. La controprova (e quindi la prova) di quel che dico non c’è! Non abbiamo nessuno degli altri poemi “concorrenti” a questi due e pertanto non potremo mai leggerli e analizzarli, magari per ritenere con i codici di oggi, che erano preferibili alla storia di Achille ed Ulisse...

Chi invertirà questo modo di ragionare è Socrate. È lui che per primo mette in discussione questi principi! "Perché ammazzi quell'agnello?" - “Per onorare la divinità, si è sempre fatto così...” - “Voglio una ragione, la divinità ti ha chiesto di ammazzare quella povera creatura, se non te l’ha chiesto, perché lo fai? Perché te lo dicono “gli altri”? Perchè si è sempre fatto così? Non è una buona ragione!". Siamo nel territorio della “dimostrazione”, non contano più solo le parole, la tradizione, servono i fatti, serve una logica. Chiaro che una figura del genere sia stata fatta fuori, troppo blasfemo per i suoi tempi. E però anche Socrate è figlio di un'idea che ha un altro protagonista, ci dice Sini, un misto tra la figura storica (ci sono tracce scritte del suo pensiero, anche se parziali) ed il mito: è possibile che non sia mai esistito, il suo nome è Parmenide, e di lui racconterò nel prossimo articolo.

Mirco Venzo, Treviso 27/11/2017 #qzone - Nella foto il filosofo Carlo Sini

Rif. 1 http://www.qzone.it/index.php/q-themes/mirco-venzo/380-l-avventura-della-verita-1-4
Rif. 2 https://www.youtube.com/watch?v=DeaTbVcdjJQ
Rif. 3 https://www.youtube.com/watch?v=7yM-SHLV31U
Rif. 4 http://www.qzone.it/index.php/q-economy/72-l-onore-nella-grecia-antica
Rif. 5 http://www.qzone.it/index.php/q-themes/373-l-umo-non-ha-istinti
Rif. 6 https://it.wikipedia.org/wiki/Lete_(fiume_dell%27oblio)
Rif. 7 https://it.wikipedia.org/wiki/Parmenide

 

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