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20240118 VM looking 4A Palazzo dei 300, nel cuore di Treviso, esporranno fino al 28 gennaio gli autori del lavoro Looking 4 myself, (rif. 1) appartenenti all’associazione Venetofotografia. Il curatore artistico del gruppo, Christian Mattarollo ha proposto ad ogni artista quattro percorsi: L’autoritratto “interiore”, I ricordi della mia infanzia, Le mie ossessioni, Ferite e gioie del mio passato; ognuno dei 25 fotografi aderenti al progetto ha avuto a disposizione un pannello dove esporre le foto realizzate, e tutti i pannelli sono fruibili gratuitamente al pubblico nel prestigioso palazzo trevigiano. (Nota)

Inizierei commentando proprio i pannelli dove sono state affisse le varie foto le cui dimensioni sono state decise dai singoli autori, come pure differenti sono gli stili e principi fotografici scelti, ma di questo racconterò tra poco. Da una prima occhiata appare chiaro che già i supporti dove sono esposte le immagini sono parte dell’espressività dell’artista, e sono a loro volta mezzo di comunicazione.
Nicla Simonetto nel suo Come in uno spettacolo, si veste da protagonista teatrale in differenti situazioni: la vita è un gioco dove assumiamo diversi ruoli a seconda delle circostanze. Il suo pannello è adornato da tendone in velluto rosso simile al sipario che si apre agli spettatori quando inizia la rappresentazione. Anche il pannello di Elisabetta Perrone riesce a sorprendermi, il suo Dieta: una compagna di vita, vede appese foto molto colorate dal piglio ironico e divertente. Quando il supporto delle sue foto termina svariate cartine di dolciumi e altre golosità terminano in un colorato bidone dei rifiuti. L’assunto di partenza di questo simpatico lavoro è la frase del filosofo Ludwig Feuerbach: “Noi siamo ciò che mangiamo!

L’ultimo pannello su cui mi soffermo è quello di Paolo Pozzobon che ha esposto le sue foto su delle buste di carta a loro volta appese al pannello. Ogni busta esternamente vedeva uno scatto dello stesso autore celato da una maschera. Ogni scatto è stato realizzato in differenti contesti: in un parcheggio cittadino, nel divano di casa, nel salotto… Con il suo In realtà, siamo maschere, l'autore pare ci dica che cambiamo la modalità con cui di volta in volta ci proponiamo all’esterno, ma chi siamo veramente, “cosa c’è dietro la maschera che indossiamo” non è dato a sapersi. L’idea dei sacchetti mi suggerisce questa interpretazione: “Vedete l’immagine che io vi voglio dare” (o che gli stereotipi sociali ci impongono) “...ma come sono realmente, -cosa c’è dentro il sacchetto- non è facile da capire, e per i più, rimane un mistero”.

E’ giunto ora il momento di commentare un po’ la tecnica utilizzata per realizzare le immagini, e se tutti i lavori sopra indicati sono stati realizzati a colori, molti artisti hanno scelto il bianco e nero. Tra questi cito Silvia Crosato che ha proposto il suo Stai zitta in nove autoritratti in cui sempre il soggetto (lei stessa) è presentato con bella pulizia d’immagine, dove un attento uso della luce caratterizza ogni scatto. Anche Anna Zambon si cimenta con degli autoritratti in bianco e nero, e pure lei, al pari della sua collega appena citata, cura con attenzione l’uso della luce, pur con tutto ciò lo stile di scatto del suo Dialoghi con la luce è molto differente se comparato con quello di Silvia. In questo caso i contrasti tra i bianchi ed i neri paiono


Ancora il bianco e nero è utilizzato per  Apparire…Svelarsi… Nascondersi… di Giovanni Fiamengo. Anche lui narra di sé attraverso degli autoritratti, dove però la sua presenza nella foto è sempre solo accennata o occultata. Le immagini sono scattate all’interno di un’abitazione e questo non è mai cosa semplice per un fotografo, perché un’infinità di elementi entrano nella foto: gli arredi delle pareti, il mobilio che genera ombre, elettrodomestici, soprammobili… l’abilità di Giovanni consiste nel riuscire a mettere ordine tra questa molteplicità di dettagli, rendendo ogni scatto armonico e pulito, nonostante la ricchezza di informazioni presenti nella quasi totalità degli scatti esibiti.

Se talvolta nel lavoro di Giovanni appaiono delle ombre queste sono sempre protagoniste nell’ultimo lavoro in bianco e nero che commento il cui titolo è L’ombra narrante di Esmeralda Mogno. Alla radice della sua ricerca vi sono gli studi sugli archetipi sviscerato da Carl Gustav Jung. Volendo commentare chi ha scelto la modalità degli scatti a colori cito Ferite e gioie del mio passato di Alberto Privitera, sempre qui protagonista è il paesaggio marino ripreso in differenti momenti, i colori di ogni singola immagine mi hanno colpito favorevolmente. Tra i lavori cui è stata data importanza al colore devo citare due autrici che hanno proposto fotografie dai cromatismi delicati. 

Vanitas vanitatum di Paola Musumeci dove i suoi autoritratti sono accompagnati da elementi simbolici, mentre In Fiore, parlami di me, di Milena Cescatti il soggetto principale sono differenti fiori che prendono la scena in ogni singolo scatto, lasciando sfuocato il dettaglio della donna cui è associata; sicuramente alla base di questo effetto c'è uno stratagemma tecnico posto in essere dall'autrice. Ambedue i lavori parlano di una grande abilità nel ritocco post scatto, e se entrambi hanno ai miei occhi dei sentori romantici, va precisato che l’impatto sullo spettatore dei due pannelli è assai differente.

Alla mostra ho avuto il piacere di conversare con Cristina Pillan che mi ha presentato il suo lavoro Vertigo, Cristina ha scoperto di avere una sorta di fobia per le altitudini quando andò sul loggione di un teatro per godere di una rappresentazione. L’idea del vuoto, taluni luoghi che accentuano l'idea di "profondità" le mettono le vertigini e le tolgono sicurezza. Ecco che tutti i suoi scatti cercano di trasmettere al fruitore del suo pannello, una certa inquietudine, la stessa che prova lei quando sale su delle scale particolarmente ripide, quando deve percorrere un ponte tibetano, o quando si trova in un luogo alto a osservare il paesaggio sottostante. 

Una raffinatezza mi ha colpito nel pannello di Cristina, se l’origine del lavoro è germogliata in un loggione teatrale, e non per caso la prima foto proprio in un teatro è stata scattata, la sua sequela di immagini termina con una foto dove lei cade, situazione creata ad arte dove in questo caso lei è non solo la regista di questa messa in scena, ma ne è anche l’attrice protagonista: Sintesi, il lavoro inizia da “spettatrice” e termina da protagonista… 

Sempre dialogando con Cristina, una sua frase rappresenta un ulteriore spunto di riflessione: “Il mio è un lavoro che fa girare la testa…!” e come già scritto, le sue foto mettono volutamente a disagio il visitatore, ecco, la riflessione è questa: non tutti i lavori esposti cercano di trasmettere un senso di bellezza, quanto di comunicare altro al visitatore che può diventare protagonista involontario di un percorso imposto dall’artista.

E’ questo il caso di Prosopagnosia - (Ri)conoscimi di Alessandra Barzi. Basilare per entrare in questo lavoro è leggere con attenzione la presentazione dove si apprende che esiste un disturbo, quello della prosopagnosia (il vocabolo si rifà al greco dove sono unite le parole faccia ed ignoranza: chi è afflitto da questo disturbo ha difficoltà a riconoscere i volti di colui che gli sta di fronte, e per dare allo stesso una collocazione, un nome, deve studiare i suoi movimenti, ascoltare il suo timbro di voce o porre attenzione a come ragiona, ed ecco che allora dietro a quel volto prima anonimo, compare un nome, una persona...). 

Questo disturbo è stato scoperto di recente, solo nel 1995 è stato descritto, e ne soffrono, magari senza saperlo, parecchie persone, una su quaranta è la statistica indicata. Il pannello di Alessandra vede immagini di gente sconosciuta, gente qualunque affiancate a immagini sgranate, insignificanti agli occhi di chi osserva da vicino, se però il visitatore si allontana di qualche metro nota che quelle foto apparentemente senza senso, quelle sgranate, tratteggiano, in modo certo non semplice da ricostruire, un volto: è quello di Alessandra. Prosopagnosia, Riconoscimi è il titolo del lavoro e solo se si concatenano certe condizioni, porsi a qualche metro di distanza dal pannello, e sapere chi è Alessandra, il visitatore potrà (forse) comprendere, che tipo di lavoro l’artista ha posto in essere. 

La difficoltà che volutamente deve superare il fruitore dell’opera per arrivare a focalizzare il concetto è assimilabile alle difficoltà che l’artista incontra sistematicamente prima di dare un nome (un volto) a chi gli sta di fronte, se quest’ultimo se ne sta zitto e immobile, per Alessandra è una persona qualsiasi, come quelle che sono state fotografate nelle immagini nitide che risultano insignificanti per chi osserva e prive di senso. Come nel lavoro di Cristina, anche qui lo spettatore è di fronte a qualcosa che non conduce alla “bellezza” in senso tradizionale, non è il bel ritratto dai colori delicati della Musumeci o quello splendido paesaggio notturno di Privitera, dove uno spontaneamente si sente di affermare “Ah... che meraviglia!"; qui c’è l'influenza delle avanguardie artistiche di inizio novecento, c’è quel senso di “disturbo” di cui si occupò Theodor W. Adorno (rif. 2) che caratterizza l’arte moderna

Vertigo di Cristina, e soprattutto Prosopagnosia - (Ri)conoscimi di Alessandra, ampliano i confini della fotografia, a mio giudizio qui stiamo parlando di un percorso che è più vicino all’arte contemporanea che non alla fotografia tradizionale, a me tanto cara.

Ed è giunto il momento di chiudere questo resoconto che non nomina tutti gli artisti, e non approfondisce quasi nessuno dei lavori citati; primo perchè sarebbe impossibile per ragioni di lunghezza, secondo perchè mi richiede molta fatica riassumere con correttezza i vari messaggi insiti nelle varie rappresentazioni che toccano aspetti molto delicati di chi li ha generati. Cristina parla di una sua fobia, Alessandra parla di un suo disturbo cognitivo, Mario Mattiuzzo in La mia mano sinistra, esterna le vessazioni subite per il fatto di essere mancinoCapisce il lettore che commentare ognuna di queste foto è compito delicato, e ho preferito narrare del bianco e nero o del colore, senza rischiare di toccare “nervi scoperti” addentrandomi in descrizioni che, se poco precise o indelicate, rischiano di inimicarmi l’artista.

A questo punto è giusto riconoscere i meriti del curatore della mostra, Christian Mattarollo che ha saputo far uscire dai fotografi dettagli intimi del loro vissuto. Stimolare i vari artisti e trasformare in foto elementi intimi della loro esistenza, non è stato facile ed ha richiesto una grande sensibilità da parte sua. Questo aspetto mi sarebbe sicuramente sfuggito se non avessi avuto la fortuna di dialogare con alcune di loro che mi han fatto presente questo “dettaglio”; voglio dire questa abilità del curatore artistico è stata riconosciuta non tanto dallo scrivente, quanto dagli stessi fotografi che con me si sono confidati. 

A me, da osservatore esterno, rimane una constatazione, nell’epoca in cui si parla di intelligenza artificiale e di algoritmi che permettono di classificare e comprendere “tutto”, ecco che una mostra come quella esposta a Treviso trae origine dalla sensibilità di un uomo, Mattarollo, che ha saputo essere di sprone con taluni, e delicato con tal altri, per produrre i pannelli dall'alto contenuto fotografico e artistico proposti nel palazzo medievale. E’ una precisazione superflua, ma ognuno dei singoli scatti esposti è frutto di indiscutibile conoscenza fotografica, caratteristica che accomuna tutti i soci di Venetofotografia. Non mi resta che ringraziare le autorità politiche locali che hanno reso disponibile una simile cornice per una mostra di alto livello, che invito i lettori a godere di persona.

Mirco Venzo, Treviso 14/01/2024 #qzone.it

Nella foto in evidenza il pannello di Alessandra Barzi con l'opera Prosopagnosia - (Ri)conoscimi

Rif. 1 https://venetofotografia.club/looking-4-myself/
Rif. 2 https://www.youtube.com/watch?v=3rWZu3rECjg (in particolare dal minuto 17’ al minuto 20’ - per chi non volesse seguire tutto il ragionamento del filosofo)

Nota:
Orari di visite: Venerdì 15,00 - 19,30
sabato e domenica 10 - 19,30 - La mostra chiude il 28 gennaio 2024

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