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20180328 MZ zuccato A molti ultra-cinquantenni (over cinquanta si dice adesso!) sarà capitato, come a me, di rimanere senza lavoro “...nel mezzo del cammin di nostra vita” e di ritrovarsi, improvvisamente, catapultati in una realtà spiacevole. Quella di alzarsi al mattino senza avere un posto dove andare, un lavoro ben preciso, un datore di lavoro e dei colleghi che ti aspettano e si preoccupano se non ti vedono arrivare.
E, last but not least, la realtà spiacevole di ritrovarsi senza uno stipendio fisso dopo che per oltre trent’anni ti sei abituato a ritrovarti in conto corrente, ogni dieci del mese, tredici o quattordici mensilità di cui non avevi ben chiara l’importanza.

Utilizzavi il tuo bancomat, la tua carta di credito, il tuo home-banking con disinvoltura, disponendo amabilmente delle tue sostanze guadagnate con il tuo onesto (e duro) lavoro, ti organizzavi le vacanze estive, andavi a cena fuori con le amiche, prenotavi la palestra e pagavi le rate del mutuo, pianificavi le tue spese senza farti inutili domande sul senso del rapporto lavoro-stipendio: era un dato scontato. Dopo il licenziamento non più. Dopo il licenziamento sperimenti la spiacevole sensazione di non servire a niente ed a nessuno, di ritrovarti a spasso in un mondo in cui non ti ritrovi, perché sei improvvisamente sceso dalla giostra e non capisci perché non riesci a risaltarci sopra.

Non entro nel merito delle motivazioni per cui un over cinquanta perde improvvisamente – e spesso neppure tanto improvvisamente – il proprio lavoro, potrebbero essere molteplici. Vanno dalla chiusura dell’azienda, alla riduzione di personale, dalla spending-review al fallimento od alla crisi economica e chi più ne ha più ne metta. Dietro a tante supposte motivazioni ci sono però tante storie di vita, ognuna diversa dall’altra, di persone che hanno fatto grandi sacrifici ed hanno dato l’anima per il proprio posto di lavoro, investendo un “capitale” umano e personale che poi non ha dato i suoi frutti e ritrovandosi, infine, incredibilmente a spasso. Questo è ciò che è capitato anche a me.

Come dicevo, scendi dalla giostra e ti accorgi che non riesci più a risalirci e non ne capisci il motivo. Tu ti senti ancora una persona valida, con una significativa esperienza professionale, conosci i tuoi mezzi e sai che chiunque decida di scommettere su di te ed assumerti farà certamente un grosso affare perché tu sei disposto a dare il massimo per rimetterti in gioco. Il problema è che ne sei convinto solo tu. Non appena entri a contatto con il mondo del lavoro 4.0 ti rendi conto della realtà, quella vera. Per il mondo del lavoro tu sei poco più che un rottame, rappresenti una grossa seccatura perché non sei appetibile per le aziende – anche se hai un curriculum di tutto rispetto, magari hai una laurea ed hai lavorato ad alto livello – sei una persona di mezza età ed i tuoi anni si vedono tutti e lo capisci da come ti guarda la ragazzina dietro al banco dell’agenzia per il lavoro dove tu ti presenti a lasciare il curriculum.

Le rughe di espressione, i chili in più, la pelle segnata, il capello grigio e la pancetta sono i segnali che hai inesorabilmente imboccato il viale del tramonto e che non tornerai certo indietro. Per il mondo del lavoro 4.0 tu sei un vecchio, uno che ha ancora qualche anno di autosufficienza prima di finire in una casa di riposo, un inesorabile rompipalle che non si capisce perché vuole ancora lavorare quando potrebbe tranquillamente starsene a casa a giocare a carte e fare buchi in giardino in attesa che la moglie butti la pasta alle 12.00 in punto.

Tu ti aspetti che prendano il tuo curriculum, lo leggano con attenzione e ti ringrazino dicendoti anche che lo sottoporranno ad alcune aziende loro clienti che hanno esigenze di personale in linea con le tue caratteristiche e poi ti faranno sapere. Invece lo prendono distrattamente e lo scaraventano ad ingrossare la pila di quelli che riempiono già una cassettina accanto al computer, poi ti fanno firmare un non meglio identificato documento per la privacy e ti scattano una foto veloce lì seduta stante e come vieni vieni, dopo che ti sei fatto mezz’ora per trovare un parcheggio all’altro isolato ed hai scarpinato un’altra mezz’ora in una giornata di vento e magari pioggia, così i tuoi capelli sono tutti sparati e hai l’espressione di uno scappato di casa. Ecco. Quella è la foto che vedranno le poche aziende che saranno miracolosamente interessate al tuo curriculum, o forse non la vedranno mai e finirà nel cestino (del computer) e il tuo curriculum pure (in quello della carta straccia).

Ma la cosa più difficile sarà lottare ogni giorno con la mancanza di denaro, con il limite della tua indipendenza economica che si restringe sempre di più mentre il terrore per il futuro ti attanaglia lo stomaco, perché viviamo in una società in cui nessuno ti regala niente e neppure alla Caritas c’è posto per te. Ti angoscia il pensiero che i tuoi figli, avuti a 35 anni perché prima dovevi costruirti una carriera, devono ancora finire il liceo e poi andare all’università, che devi mettere il cibo sulla tavola e pagare le rate del mutuo. Non ci dormi la notte e ti spacchi la testa per riuscire a capire perché non riesci a trovare lavoro, per fortuna almeno tua moglie è riuscita a tenersi il suo, ma anche la sua azienda non naviga in buone acque e spesso ricorre alla cassa integrazione.

Questa storia è fatta di tante storie, la mia e quella di tanti disoccupati over 50 che ho conosciuto andando in giro a cercar lavoro, nelle agenzie, negli uffici, al centro per l’impiego, al supermercato. Tante voci anonime ed angosciate che qui, spero potranno trovare ascolto e comprensione. Il mondo del lavoro è cambiato, certo, ce lo ripetono in continuazione. Una cosa è certa: questo paese è allo sfascio: ti obbliga a lavorare fino a 70 anni se vuoi avere diritto ad una pensione e poi ti lascia a spasso a 50 senza adeguate politiche per il lavoro che ti diano modo di ricollocarti. A 50 anni il mondo del lavoro ti scarta, ti rifiuta e ti umilia e tu non puoi far altro che prendere atto che i tempi sono cambiati e cercare di arrabattarti come puoi per campare, confidando e sperando ardentemente di godere di buona salute. Chi si ammala è perduto.

L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 1.

 

Monica Zuccato, Treviso 27/03/2018 #qzone
Foto Mirco Venzo

 

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