Cerca

20180926 MZ socialHo tenuto per tanti anni un blog su Libero. Nei primi tempi mi divertivo un sacco: era un mondo sconosciuto che però non mi risultava di immediata comprensione e, almeno nei primi tempi, non sapevo ancora gestire bene. Credo sia un’esigenza della mente umana, ma più in particolare degli individui nati e cresciuti nel “secolo scorso” e che provengono da scolarizzazione ed educazione diversa da quella moderna: dobbiamo bene identificare ed incasellare tutto ciò di cui veniamo a conoscenza per fare in modo di conoscerlo, dimensionarlo e poi utilizzarlo secondo quella che è la nostra forma mentis. Le nuove generazioni, quelle del 2000, differiscono sostanzialmente da noi. Loro provengono – e crescono - in un mondo che ha a che fare con l’astratto fin da quando nascono.

Già da piccolissimi gli metti in mano uno schermo sul quale possono, con pochi tocchi, immergersi in irresistibili giochi virtuali senza neppure la fatica di muoversi o di cercarsi un partner per interagire. E intanto tu puoi lavorare, parlare al telefono, stirare, cucinare, prenderti una pausa. Mio figlio è nato nel 2001, ed è stato uno di questi bambini; ora è un ragazzo di 17 anni e spesso mi sorprendo a fissare con sorpresa le sue dita velocissime che digitano messaggi su Whatsapp. Io non riesco proprio ad essere tanto veloce.

Comunque sia, ho tenuto per anni questo blog – più o meno dal 2005 al 2009. All’epoca i blog non erano ancora quello che sono diventati oggi, spesso potentissimi strumenti di lavoro e comunicazione: vedi Chiara Ferragni e quello che riesce a farci con il suo, ma per cambiare genere Beppe Grillo o Salvatore Aranzulla. Non serve neppure un sito internet se riesci ad utilizzare appieno tutte le potenzialità di un blog. Io lo utilizzavo un po’ come il mio salotto di casa. Ci entravo ogni giorno per scrivere le mie impressioni su una certa cosa o su un argomento particolarmente dibattuto del periodo, ma analizzavo anche i miei stati d’animo e le mie giornate positive o storte. In poco tempo ho capito di quale potentissimo strumento disponessi ed ho cominciato a lasciar perdere il bisogno di incasellare, per lasciarmi semplicemente andare alla corrente. Per definire un po’ il concetto, probabilmente mi sono trasformata in utilizzatore 4.0: la differenza sta nello smettere di farsi domande.

Il problema che abbiamo noi, rispetto alle generazioni 4.0, sta nel fatto che ci hanno educato a chiederci il perché di tutto: perché facciamo una certa cosa, perché una certa persona che conosciamo si comporta in un certo modo piuttosto che in un altro, perché il nostro collega di lavoro da un mese a questa parte non viene più con noi a prendere il caffè, perché nostro figlio non parla con noi del suo sport preferito, perché non riusciamo ad essere più estroversi, perché … E’ una caratteristica del tempo da cui proveniamo, del nostro background culturale, probabilmente proviene da una scolarizzazione che era diversa da quella di oggi. Farsi sempre domande, analizzare, spaccare il capello in quattro per capire, identificare, classificare e incasellare, oggi con i social non serve più. La cultura è visiva, immediata, fulminea, praticamente non riesci neanche a vederla.

Non era poi così tanto negativa la cultura del perché. Quantomeno eri costretto a far funzionare un po’ di più le meningi mentre ti ponevi le domande canoniche e cercavi di trovare le risposte e non mi riferisco soltanto a mere questioni professionali o pratiche, ma soprattutto umane. Quando ti chiedevi se un tuo determinato comportamento poteva ferire qualcuno o recargli danno o mancare di rispetto al prossimo, le cose andavano meglio: guarda oggi come siamo ridotti. Per concludere il discorso del mio blog e passare ai moderni social, allora ho conosciuto tante persone interessanti ma anche un sacco di rompiballe, oppure persone con le quali mi è capitato di intavolare discussioni infinite ed infinitamente stimolanti, il tutto senza mai incontrarle direttamente, insomma mai “de visu”, soltanto davanti ad uno schermo. Sul piano personale ho imparato tantissimo e credo di aver insegnato altrettanto in uno scambio reciproco, non solo di vedute soggettive ma anche di sentimenti e sensazioni.

Poi nel 2009 ho chiuso il blog: ci ho messo un po’ per decidere ma non mi dava più stimoli e scrivere qualcosa oramai era divenuto più un obbligo che un passatempo. Nel frattempo, attorno al 2010-2011 credo, era scoppiato il fenomeno dei social network, primo fra tutti Facebook, un vero boom. Certo era molto diverso da oggi il Facebook di allora: oggi è una potenza, anche finanziaria. Sono iscritta a Facebook, Twitter, Instagram. Linkedin,Youtube, Google e utilizzo Whatsapp come tutti. Devo dire però che quello che ho apprezzato di più, negli anni, è stato Facebook. Trovo Twitter macchinoso e Instagram lo uso solo per le foto. Youtube è un’altro discorso, Google e Linkedin li uso per lavoro. Ho imparato a non chiedermi più il perché di un sacco di cose, li uso e basta.

I social mi servono anche per esercitare un discreto controllo sulle attività di mio figlio, anche se il controllo non risulta così semplice: questi ragazzi sono sfuggenti ed hanno modalità di interazione e comunicazione che noi non riusciamo a comprendere. Sono semplicemente diverse le dinamiche e, certo, se fossero uguali dovremmo sfatare il mito dell’incomunicabilità con le nuove generazioni che tanto inchiostro ha fatto versare a sociologi, psicologi, giornalisti e via dicendo. Il mondo dei social è molto coinvolgente, ma ancora più affascinante è la fauna che vi si avventura. Tanto per cominciare Facebook ai ragazzi 4.0 non interessa e neppure Twitter. Li definiscono “robe da vecchi” ed in effetti loro usano molto Instagram. Per parlare usano Whatsapp ed il telefono non sanno neppure come utilizzarlo; semplicemente non si telefonano.

Non starò a parlare, perché non ne ho la competenza specifica, del fenomeno del bullismo sui social e di come questi strumenti si rivelino spesso un mezzo tristemente efficace per tormentare, stalkizzare ed in alcuni casi anche delinquere o peggio indurre al suicidio. Purtroppo il progresso ha molti pregi ma l’enorme difetto di poter essere anche utilizzato per finalità negative. Dagli albori del mondo l’umanità ha potuto scegliere in piena libertà fra il bene ed il male. Forse possiamo affermare che sia l’unica scelta di vita che abbiamo, ma ci appartiene sempre e ce ne assumiamo pienamente la responsabilità. Può sembrare che il male che fai sui social sia meno grave rispetto a quello che puoi fare se tiri un pugno in faccia a qualcuno. Io credo che invece sia peggio, perché dal pugno in faccia puoi guarire ma una carognata sui social rimane per sempre, specialmente se si tratta di una foto carpita con l’inganno e pubblicata in rete senza il consenso del diretto interessato.

Facebook rappresenta sicuramente un mezzo di comunicazione potentissimo. Si parla di circa 2,19 miliardi di utenti attivi mensilmente nel mondo, di cui 31 milioni di utenti in Italia, che rappresentano il 60% degli utilizzatori di social media, secondo solo a Youtube con il 64%. Contrariamente ad altri social Facebook ospita anche tantissime persone anziane, tra cui mia mamma – 74 anni – che lo utilizza allegramente e con grande perizia lasciando a bocca aperta anche me che da lei non me lo sarei mai aspettato. La cosa sorprendente dei social è che riescono a raggruppare ed interessare persone socialmente e culturalmente molto diverse fra loro, che spesso interagiscono in rete quando nella vita privata probabilmente non riuscirebbero a trovare argomenti in comune. Facebook in particolare ha portato alla luce tutto il meglio, ma soprattutto il peggio di questa umanità: basta leggere i commenti ad alcuni post per rendersi conto che alla perfidia umana non c’è limite, ma neppure alla stupidità, alla supponenza ed al qualunquismo. In pratica non manca solo l’intelligenza ma spesso pure la cultura.

Non parliamo poi della diffusione di messaggi a sfondo razzista, sessista, discriminatorio, anti-religioso e chi più ne ha più ne metta. Da Facebook passa soprattutto il bisogno di apparire degli italiani, e di apparire in un certo modo: spensierati, ricchi, palestrati, abbronzati, tatuati, giramondo, tamarri, rubacuori, professionalmente impegnati, politicamente disimpegnati, culturalmente disinteressati, fancazzisti, femme-fatales. Sempre su FB ho letto cose che "voi umani non potreste neppure immaginare" e devo dire che spesso mi sono giustamente e a buon diritto spaventata, perché se nella dura (e pura) realtà le persone non sempre trovano il coraggio di parlare apertamente, su FB chissà perché si dice e si scrive di tutto, senza riservatezza, né prudenza. C’è chi sente il bisogno di postare quotidianamente e più volte al giorno svariati momenti della sua esistenza corredati da foto, per far sapere al mondo che sta dormendo/mangiando/piangendo/guardandosi allo specchio/studiando/lavorando/viaggiando, c’è invece chi, più discretamente posta ogni tanto qualche suo pensiero.

C’è chi inveisce contro il governo e la politica militare degli USA e chi ha perso il gattino e ti prega di condividerne la foto perché “più siamo e meglio lo troviamo”. C’è chi posta la foto del suo bicipite tatuato e chi quella delle sue tette in versione vedo/non vedo e poi si offende per i commenti sessisti e inopportuni, cosicché non ti è chiaro se c’è o ci fa. C’è chi posta le sue poesie e chi i suoi sproloqui, chi crea gruppi e chi li distrugge in un’apoteosi di parole e di immagini che, in fondo, denunciano quanto ci sentiamo tutti soli tanto da aver bisogno di essere costantemente connessi con il mondo e la sua eterogenea moltitudine. O quanto invece non siamo più capaci di comunicare. Facebook meriterebbe sicuramente un’analisi più approfondita tanto in quanto vero e proprio fenomeno di costume e società: non ho certo la pretesa di poterlo fare io, non avendone la necessaria competenza.

Per quanto mi riguarda, uso Facebook con moderazione ed alterno fasi di intensa attività a fasi di completa assenza ed apatia. Dipende dai periodi e dal tempo che ho a disposizione. C’è una cosa che però devo rilevare. Un tempo non sarei mai stata in grado di ritrovare persone conosciute molti anni fa e poi perse di vista: compagni di scuola, vecchi amici, compagni delle superiori, vecchi colleghi di lavoro, il primo amore. Facebook è stato un formidabile mezzo per rintracciare e poi rimettersi in contatto con tutte queste persone appartenenti al mio passato e poi dissolte. In alcuni casi ci siamo rivisti, abbiamo organizzato riunioni conviviali, incontri, pause caffè. In molti casi è stato triste sapere che alcuni di questi volti non c’erano più, strappati prematuramente alla vita da incidenti stradali, malattie incurabili, anche un suicidio. Mi è capitato di ritrovare le stesse persone che avevo lasciato tanti anni prima, con tutti i loro sogni ed illusioni magari spezzate, le ambizioni realizzate, le loro essenze che tanto mi avevano affascinato, solo il loro aspetto – come il mio – era un po’ cambiato, siamo tutti invecchiati.

Mi è capitato di ritrovare volti stanchi, provati da vite difficili, da delusioni familiari e professionali, dalle disillusioni. Mi sono poi resa conto che da giovane avevo idealizzato molte di quelle persone, le avevo considerate con gli occhi dell’inesperienza, della gioventù e dei grandi ideali mentre in realtà, viste in età matura e con gli occhi dell’esperienza e della saggezza mi sono resa conto di avere davanti a me persone normalissime, le ho viste obiettivamente con tutti i loro pregi ma anche i grandi difetti. Sono cambiata io, ma anche loro e non sempre positivamente. In molti casi a queste persone, con le quali avevo condiviso tanti momenti della mia vita, non avevo più niente da dire né più nulla da condividere ed ho concluso con una riflessione importante.

La nostra esistenza è un viaggio bellissimo, non sempre facile, ma è fatta di cicli che si aprono e poi si chiudono. Così prevede il destino e forse è bene che i ricordi di tante persone che hanno fatto parte di questi cicli rimangano là dove il destino li ha posti e cioè nel nostro passato.  Non sempre riportarli a galla è positivo perché vanno ad inserirsi in contesti e tempi che non sono più gli stessi ed inevitabilmente perdono valore e significato e rovinano i ricordi. Meglio, forse meglio, lasciare tutto nell’oblio.

Chi può dire se tra vent’anni i social esisteranno ancora o se l’umanità sarà presa da altre mode. Probabilmente sarà cosi, le mode vanno e vengono. Però nulla ha cambiato le nostre esistenze quanto l’avvento di internet: ha ridotto le distanze e avvicinato le persone, ha messo il mondo nelle nostre mani ma ci ha reso ancora più soli. Oggi ci scriviamo centinaia di messaggi, commentiamo per intere giornate, guardiamo migliaia di foto ma comunichiamo sempre meno e sempre più a fatica. La parola inglese “social” tradotta in italiano significa “sociale”, ovvero tendente a vivere in società. Mi chiedo però se questa sia ancora una società: che non protegge i deboli, che esalta l’egocentrismo, che non accoglie chi è in difficoltà, che lascia indietro chi non ce la fa, che è sempre più distante dall’essenza dell’uomo e dalla natura. Studiosi di diverse discipline (antropologi, sociologi, biologi) stimano che i mutamenti in atto stiano modificando, in modo irreversibile, il nostro modo di vivere quotidiano, il nostro modo di pensare e di percepire il mondo e la convivenza umana. Resta da capire se questo profondo ed irreversibile cambiamento sia positivo oggi e se lo sarà per il futuro.

Monica Zuccato, Treviso 26/09/2018 #qzone
Foto raccolta in rete

CookiesAccept

NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta. Per saperne di piu'

Approvo

Il presente sito web utilizza cookies tecnici e cookies di terze parti. Proseguendo nella navigazione acconsentirai all'informativa sull'uso dei cookies.

Leggi di più