Cerca

20210320 VM bladerunner2049Ero seduto davanti al video convinto di rivedere Blade Runner di Ridley Scott con Harrison Ford e il mitico monologo di Rutger Hauer, ma compresi subito che qualcosa non tornava, tuttavia ormai ero predisposto alla visione e decisi di portare a termine il compito, prendendo veloci appunti per una mia recensione, quella che vi apprestate a leggere. Anzitutto mi qualifico: non sapevo che c’era la versione di Blade Runner 2049 nata nel 2017 come seguito alla storica pellicola cult del 1982, quindi già sapete che i critici accreditati sono altri…

Che dire di questo film a regia del canadese Denis Villeneuve? Che sin dalle prime battute pare a me sfoderi un’ottima fotografia, scoprirò poi (grazie a Wikipedia rif. 1) che proprio questo aspetto gli ha permesso di ricevere l’Oscar (2018) e un analogo premio BAFTA proposto da una giuria inglese. Non sono gli unici premi ricevuti da questa pellicola e già ciò indica che non si tratta di un film banale.

Tornando a ciò che mi ha colpito fotograficamente ogni dettaglio è ben studiato, con soggetti sempre posti sul posto giusto con una luce nient'affatto casuale; il paesaggio è parte del discorso poetico e filosofico della pellicola, il meteo è tendenzialmente grigio, quando non piovoso. Il sole non appare mai. (Vedi nota a margine) Anche per questo i raggi di luce che colpiscono il soggetto contribuiscono a dare forza ad esso e, chi come me ama la fotografia, ne apprezza i dettagli. Spesso poi la scena è scarna di elementi, mobili o oggettistica che crei confusione, ciò da maggior forza ai soggetti e aiuta a rimanere concentrati su di essi e sui loro dialoghi. Il meteo grigio, quando non piovoso in tutte le scene, richiama la versione del 1982 e la successiva pellicola del Corvo (regia Alexander Proyas - 1994 -con la famosa frase “...non può piovere per sempre”).

Il grigiore e la pioggia sono parte del messaggio del film; siamo nel 2049 e l’uomo ha distrutto l’ecosistema e la stessa umanità pare travolta dalla follia tecnologica, l'ambiente è stato annientato dal precedente sistema socio economico che, si osservi la data degli eventi, è riconducibile alle scelte contemporanee la registrazione del film, e questo pare a me già un chiaro messaggio lanciato dal regista e dagli sceneggiatori Hampton Fancher e Michael Green al pubblico, non solo; proprio in questi giorni si parla di transumanesimo e lo stesso vaccino che domani andrò a inoculare, pare sia definito “trattamento genico” (rif. 2). La trama del film che nasce come opera fantascientifica pare quindi avere connotati di attualità interessanti: ricordo al lettore che una frase che si sente proferire da più parti oggi giorno aprendo i dibattiti televisivi è “non si tornerà più indietro”, riferita alla nostra realtà: si sta andando allora verso una realtà quale quella ipotizzata dalle due pellicole di Blade Runner?

Trama: come nel precedente film i protagonisti sono i replicanti, androidi prodotti per aiutare l’uomo, tuttavia il tentativo di renderli sempre più somiglianti all’essere umano fa sorgere dei problemi, problemi che devono essere contestualizzati: la società che ha devastato il pianeta nella pellicola è anche quella che ha generato gli androidi. Sempre quella società, narrata dalla trama e dai protagonisti cinematografici, deve trovare risposte. La prima domanda da porci durante la visione del film è: ma la tecnologia, la tecnica, la scienza… in che misura sono di aiuto all’essere umano?

Il protagonista ad esempio, l’agente K (questa società si basa sui numeri e sulle sigle, lui stesso è privo di nome ufficiale) interpretato da Ryan Gosling ha una relazione con una sorta di ologramma. I dialoghi, i sentimenti e la sua compagnia preferenziale sono rivolti ad un'immagine virtuale che appare e gli parla, una sorta di coscienza che però si comprende è frutto di tecnologia e non è reale. "E' soddisfatto del prodotto?" le chiede l'assistente di chi l'ha venduto. Nel corso della pellicola quando lo strumento che la genera verrà schiacciato, questa figura, basilare per K, Joi (Ana Celia de Armas Caso) semplicemente sparirà, come le immagini di una televisione che viene spaccata da un accetta. Non hai la televisione, non hai le immagini, semplice. Il che sta a ribadire che K non aveva una relazione con qualcosa di vero.

Un dialogo sintetizza questa mia presentazione del protagonista: “...non ami le persone vere”. E però lo stesso agente K non si sa (è uno dei segreti del film che io non andrò a svelare) se sia un androgeno o se sia un essere reale. Uno dei temi forti dell’intero film è quindi capire in questa realtà tecnologica, cosa sia vero e cosa non lo sia. Le suggestioni imposte dagli strumenti tecnologici sono tali e tanto forti da manipolare, influenzare la realtà. I protagonisti del film vivono (ma direi io ciò vale nche per noi italiani del 2021) avvolti da immagini e da stimoli indotti da questi mezzi tecnologici, da questa ingegneria non solo tecnica ma anche sociale, che porta alla solitudine e che ha con buona probabilità partorito la distruzione non solo dell’ambiente, (“...non ho mai visto un albero…”), ma anche di ciò che è umano. Umano è ciò che ha un anima? Ecco che si dice in un dialogo rivolto al protagonista : “Tu te la cavi bene anche senz’anima”.

A questo punto ci si deve chiedere ma la creazione di questi androidi, perché la si è fatta? E la risposta torna ad essere in un dialogo che si può ascoltare oggi da molti degli intellettuali che sostengono il partito (di minoranza) che da anni riesce a stare al governo: “...i replicanti fanno quello che noi umani non vogliamo fare…(basta sostituire la parola immigrati a replicanti, ed il gioco è fatto; interessante però è anche il seguito del dialogo) ... e non potendo dare loro un bel futuro, do loro almeno dei bei ricordi…”.

Nel film quindi si è consci che questi replicanti sono stati creati per compiere le mansioni che l’uomo non vuol più fare, fanno lavori degradanti, tristi, la soluzione proposta nella pellicola è “creare dei bei ricordi” in queste menti plasmabili, proprio perché si è consapevoli che il futuro per questi esseri è inequivocabilmente fatto di miseria e di brutture; ricordo che l'ingeniere sociale sta cercando di alleviare l'esistenza a delle macchine. Ritornando alla mia realtà, al contrario, alcuni nostri intellettuali ci vogliono far credere usando casualmente gli stessi argomenti di chi specula su questi viaggi della speranza, che dare agli stranieri asilo significhi dare loro un futuro.

Ma come, non sono forse loro, gli extracomunitari, quelli che devono fare i lavori che noi non vogliamo più fare? I replicanti della pellicola vengono aiutati a sopportare le loro sofferenze, mentre gli extracomunitari che giungono in italia, una volta sbarcati, sono lasciati a se stessi; certo, qualche aiuto estemporaneonulla di sostanziale, che spesso si traduce per un interessante giro d'affari per "gli amici degli amici".  Ed entriamo nel tema, a produrre questi replicanti è una maga ditta privata di cui si sa poco o nulla (solo il nome) che si arroga i poteri che ha la divinità. “Noi...creiamo angeli al servizio dell’umanità”.

Questa ditta che decide chi deve nascere, e che caratteristiche deve avere, chi deve morire e perché, si equipara, di fatto a Dio. In questo scenario dove realtà e fantasia si intrecciano, dove comprendere cosa sia reale e cosa non lo sia pure, la pellicola del 2017 pare a me toccare molti aspetti che sono inerenti all’attualità italiana, basti pensare che il tema della libertà è pure oggetto di rappresentazione, molti protagonisti, pur se uomini/macchina vorrebbero vivere liberamente, mentre noi italiani siamo chiusi in casa per un virus che dicono alcuni è stato creato artificialmente. (A proposito di scienza che aiuta l'uomo o forse no).

Morire per una giusta causa è la cosa più umana che si può fare!”, questa ultima frase mi ha parecchio sorpreso perché, pur nel contesto diversivo di un film, entra in aspetti filosofici: a dar senso alla vita vi è la morte e alla luce di una fine che è inevitabile, si pone un ulteriore considerazione: come si deve vivere e perché si deve vivere?

L’andamento del film, assai lento, e i temi proposti sono assai lontani da molte pellicole americane. La cosa non deve sorprendere: se la prima pellicola di Blade Runner era stata diretta da un inglese, e la “scuola” europea si percepiva, ora commentiamo un regista che è canadese, quindi “altro” rispetto ai film americani d’azione e “di morti a catinelle”. E’ un film giallo dove oltre a capire chi sia il protagonista, nel percorso, attraverso i dialoghi e le situazioni, altre domande possono sorgere allo spettatore. Non me ne voglia il lettore se mi son permesso di proporne qualcuna anch’io. E’ un film che consiglio?

Non saprei, non la ritengo una pellicola per tutti i palati, e non mi pare un capolavoro assoluto. Non ha neppure l’aurea della “prima volta” che investe il genitore di questo film. Ciò nonostante, forse perchè mi ero posto di fronte al teleschermo con carta e penna, ma ieri il film me lo sono visto tutto senza titubanze, aprezzandolo molto. Da notare che le frasi dei dialoghi proposte sopra sono frutto di appunti veloci colti mentre visionavo il televisore e pertanto potrebbero non essere precisi alla lettera anche se posti dentro le virgolette; spero siano comunque utili per sintetizzare alcuni concetti.

Mirco Venzo, Mestre (VE) 18/03/2021 #qzone.it

Nota: in realtà verso la fine c’è una scena dove nevica e quelle immagini spiccano per il candore e la luminosità che rompe con tutto il resto della pellicola, unica parentesi di luce in un contesto tendenzialmente cupo.
rif. 1 https://it.wikipedia.org/wiki/Blade_Runner_2049
rif . 2 https://www.repubblica.it/salute/2020/12/16/ne...

CookiesAccept

NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta. Per saperne di piu'

Approvo

Il presente sito web utilizza cookies tecnici e cookies di terze parti. Proseguendo nella navigazione acconsentirai all'informativa sull'uso dei cookies.

Leggi di più