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20240310 VM effetto farfallaIl regista danese Martin Zandvliet ha diretto il film L'effetto farfalla nel 2021 il cui titolo originale è Marco effekten. Si tratta di un Thriller la cui produzione è danese, tedesca e cecoslovacca. Questa pellicola prosegue su una falsariga che sta prendendo piede, quella dei thriller scandinavi ispirati da bestseller di autori nordici, se Uomini che odiano le donne (2009) diretto da Niels Arden Oplev si basava sul lavoro editoriale di Stieg Larsson, danese il regista, svedese lo scrittore, qui sia il regista, che lo scrittore sono danesi, come pure lo è l’attore protagonista: Ulrich Thomsen che veste i panni del commissario Carl Mørck. La penna che da spunto a questo lavoro è quella di Jussi Adler-Olsen, figlio di uno psichiatra, che già scrisse la traccia di Paziente 64 film recentemente trasmesso in TV. (rif. 1)  

Della trama del film non intendo scrivere molto, al fine di non togliere curiosità allo spettatore, mi permetto solo di precisare che mentre il titolo originale ha una sua logica, molto meno ce l’ha la traduzione italiana; tutta la trama inizia grazie al giovane zingaro Marco (interpretato da Lubos Oláh), che darà via ad un effetto domino legato a delle indagini gestite dal commissario Carl Mørck, coadiuvato dal fido assistente Assad (interpretato da Zaki Youssef). Nel film si vedrà come lo scontroso commissario danese, già alle prese con propri personali problemi mentali, cerchi di far luce su vari omicidi, finendo per rovistare dentro un nucleo famigliare devastato dall'accusa di pedopornografia subita dal padre, per altro misteriosamente scomparso, dove truffe umanitarie di gittata internazionale sono uno sfondo da non sottovalutare.

Questo film mi servirà come modello per descrivere uno schema ricorrente che ben si smarca dai più numerosi e famosi thriller hollywoodiani ricchi di movimento, di colori, magari conditi da battute simpatiche. Qui, al contrario, si segue una traccia che definirei “nordica”, affine ai già citati Paziente 64 e Uomini che odiano le donne, dove il colore che la fa da padrone è il grigio, quando non proprio il nero. Foreste dove non filtra la luce, (magari percorse di notte), laghi dalle acque profonde (e quindi tetre), abiti dei protagonisti mai troppo colorati, e se vi sono delle tinte, queste non sono mai brillanti. 

I protagonisti sono persone di poche parole, tendenzialmente solitari e nel caso del commissario protagonista di questo film, (ma lo era anche il protagonista delle indagini di paziente 64), il suo volto è duro e tratta con sgarbo il suo collaboratore. Rilevo che i dialoghi spesso sono inutili perché è la capacità di recitare degli attori a dirci, senza bisogno che ci sia della musica ad enfatizzare, o delle parole che spieghino, cosa leghi tra di loro i protagonisti e che sentimenti stiano vivendo. E non potrebbe essere altrimenti, come puoi far capire allo spettatore che cosa succede se non usi la musica o le parole? Lo puoi fare solo con l’arte recitativa, tuttavia questo costringe il fruitore del film a rimanere attento e concentrato per cogliere questi segnali. Non è quindi un prodotto adatto a tutti i palati, pur all'interno della nicchia dei film gialli, già selettiva di suo. 

Anche in L'effetto farfalla il regista si focalizza sulla psicologia del protagonista, tratteggiando il carattere senza che vi siano discorsi che lo spiegano, contribuendo a renderci simpatico o forse è più giusto definire "familiare", una persona ruvida e silenziosa, uno che non pare sia conosciuto neppure dagli altri protagonisti dello staff lavorativo con cui opera. Un altra considerazione che mi sento di scrivere è che questi film “nordici”, e questa pellicola ritengo sia un’ulteriore conferma, hanno forte una matrice religiosa, nello specifico è il credo luterano e protestante a condire con i suoi valori registi e ideatori del soggetto (gli scrittori dei bestseller cui sono poggiate trame e protagonisti). Mi spiego meglio: l’idea di farsi carico delle proprie colpe e di pagare per quel che si è fatto è visto non tanto come un opera di giustizia umana, quanto come un piano divino che si assesta. 

Mi sono permesso di esternare una sensazione, che magari il lettore non condividerà, ma, ad esempio, sia in Uomini che odiano le donne, sia nel film che sto recensendo, alla fine i grandi criminali finiscono per essere inghiottiti dalle fiamme, e forse è la mia fantasia, ma la cosa mi richiama una biblica idea dell’inferno. Il lettore mi potrà replicare che anche nei film americani non mancano le scene di incendi roboanti, ed è proprio qui che mi pare di ravvisare delle differenze: nelle scene hollywoodiane il gran fuoco, le fiamme, sono accompagnate da molto rumore, scoppi, sirene della polizia o delle forze dell’ordine che segnano la presenza dell’uomo. Si direbbe che l'incendio è un fatto che coinvolge la società e tangibile è la presenza della stessa. Al contrario l’incendio descritto in questa pellicola avviene in un luogo isolato, nel silenzio, e così pare che il destino delle persone coinvolte si compia non tanto per volere degli uomini, o se volete sotto gli occhi degli stessi, ma per un volere soprannaturale, divino appunto, che tutto governa e a cui tutti alla fine ci si deve assoggettare. Questo progetto divino (ecco la matrice protestante) si va a compiere sia che gli umani se ne rendano conto (e lo osservino da spettatori) sia se non lo facciano perchè concentrati ad osservare altro. 

L’effetto farfalla non ha molte recensioni e quindi posso confrontarmi solo con una di esse, presente nel sito Movieplayer (rif. 2) che riporto: “Tempi morti e colpi di scena telefonati, che smorzano la tensione sul nascere e che non instillano la corretta curiosità nello spettatore. La trama non ha particolare guizzi come detto, soffrendo di una staticità imperante che si riflette anche nell'impalpabile regia di Martin Zandvliet”.

Come sopra scritto non condivido questa analisi; lo spettatore deve farsi catturare dai silenzi e deve cercare di trovare lui delle risposte (o se preferite farsi delle domande) prima che la trama o il regista suggeriscano il percorso. E’ un approccio molto diverso, questo “nordico”, rispetto a quello cui siamo abituati da centinaia di produzioni, qui non c’è il Rambo che da solo li fa fuori tutti, qui c’è un commissario (ripeto, neppure troppo stabile mentalmente) che appena cerca di catturare il delinquente si becca una bastonata in testa. Non ci sono commenti, non ci sono battute, il nostro eroe, che forse è più giusto definire un antieroe, incassa in silenzio. Mi permetto un'ultima postilla, apprezzo in questo film l’assenza del "politically correct”, tanto caro alle recenti produzioni nostrane dove sempre deve esserci un eroe LGBT e dove l’integrazione sociale regna sovrana; qui non è così: la parte del lavoro sporco, gli omicidi, è compiuta dalla comunità degli zingari che è descritta come isolata e realtà a sé stante rispetto il resto della società. 

Un film italiano che imbastisca una trama di questo tipo verrebbe tacciato di razzismo, ed invece qui il problema non si pone, anzi, pare un modo per rendere solida la trama. Va detto poi che Marco, il giovane rom, non parla molto non solo per coerenza con quanto scritto sopra (i silenzi etc etc) ma anche perché questa sua omertà è il modo concreto in cui lui protegge la sua gente e i suoi cari. Il regista (o se preferite l’autore del soggetto, lo scrittore) non stanno condannando questa etnia, stanno proponendo una descrizione del sociale credibile, per certi omicidi ti devi rivolgere a quella gente, e il silenzio  è il modo con cui chi è parte di quella comunità difende il proprio gruppo ed i propri cari. Se le pellicola americane vedono i buoni e i cattivi ben definiti, qui, riprendo il mio ragionamento, ognuno deve rispondere poi al divino del suo operato, sia esso danese o rom, detto diversamente, le fiamme dell’inferno accettano tutti e non fanno distinzioni a riguardo.

Mirco Venzo, Treviso 08/03/2024 #qzone.it

Rif. 1 https://it.wikipedia.org/wiki/Jussi_Adler-Olsen
rif. 2https://movieplayer.it/articoli/leffetto-farfalla-recensione-film_32071/

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