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20171208 VM Strage della LoggiaBrescia 28 maggio 1974, Manlio Milani mette la giacca e la cravatta per andare a lavorare. E’ un operaio, e quello non è un abigliamento idoneo per la sua mansione, ma di li a poco ci sarà uno sciopero, andrà quindi in piazza e ci vuole andare ben vestito. E' una cosa importante. (rif. 1). Passerà prima a prendere Lidia, sua moglie, professoressa molto attiva nel sindacato. Nell’uscire per andare alla manifestazione di Piazza della Loggia una vicina ferma la coppia e afferma “Che vi succede? Questa mattina avete uno strano sorriso di felicità. Ambedue…”! “Eh", rispondono, "..stiamo andando incontro alla vita”! Anche Alberto e Clementina, che tutti chiamano “Cle” si stanno preparando per uscire ed andare alla manifestazione. Anche loro sono insegnanti, Alberto di Fisica e la Cle di lettere. Han dormito poco, il loro figlioletto di un anno e mezzo li aveva tenuti svegli per lunghi tratti durante la notte, e però a quella manifestazione loro ci vogliono andare, anche perché, oltre a Manlio e a Lidia, ci sarà anche Lucia, la sorella gemella di Cle. La Cle si mette il soprabito, perché la giornata è brutta, sta per piovere… 

Mi fermo qui con gli spezzoni tratti da Blu notte di Carlo Lucarelli, (rif. 1 / 2) che parla della strage di Piazza della Loggia, perché ce n’è abbastanza per far un paragone con i tempi attuali. Io non sono mai andato ad una manifestazione di piazza. Non le ho mai "sentite" e le ho sempre trovate inutili. E’ una mia posizione, forse indotta dalla mia famiglia d’origine. Mio padre, capofamiglia di un nucleo tradizionale, considera la politica una cosa “sporca” e non se ne interessa, anche se era un ex balilla. Un certo modo di pensare, oltre che una certa simpatia, l’aveva conservata, e forse anche per questo mia madre pure di politica se ne disinteressava, pur avendo dei rospi mal digeriti, in particolare quello legato all’emancipazione femminile. A lei pesava il fatto di non poter lavorare. Mamma non ha mai ritenuto l’arena della polis il luogo dove discutere di queste cose e lo faceva quindi con me, che ascoltavo, non capivo, ma interiorizzavo.

I dialoghi sopra riportati descrivono famiglie come la mia non è mai stata, dove la politica era vissuta con impegno, con partecipazione, passione, addirittura, pare, con piacere. L'andare in piazza, pur in una giornata fredda e piovosa, è vissuto con entusiasmo, con gioia. La gioia che da il sentirsi parte di un gruppo, di una società. C’è direi oggi, anche senso civico. Siamo negli anni settanta e l’Italia vive il suo boom economico. Stiamo crescendo come Paese, gli operai possono pagarsi la casa e la macchina, sanno che potranno portare in ferie, al mare o ai monti, i loro figli. La scuola, la salute non sono un problema, almeno per loro che sono del Nord. Certo il Sud è rimasto indietro, ma questa di Blu notte è la fotografia di un Italia viva, di quel Italia che mi pare estremamente lontana.

Ogni giorno v’erano scontri tra gli attivisti di destra e quelli di sinistra. C’erano attentati alle sedi di organizzazioni varie, di differenti fazioni, c’erano intimidazioni agli uomini di cultura, c’erano gli scontri tra sindacato e industriali, gli operai stavano conquistando potere e soprattutto la famosa equazione che spesso propongo Y = f (K, L) vedeva spingere la richezza verso il lavoro, questo non piaceva naturalmente ai capitalisti che allora si chiamavano “padroni”.

Anche qualche giorno dopo il 28 maggio si vedrà un’Italia viva, quando ai funerali conseguenti allo scoppio della bomba messa in un cestino dai fascisti, in piazza si riversano circa cinquecentomila persone. (altre fonti dicono 400.000, comunque tante). Da tutta Italia si erano riversati in quella piazza perché quei sei morti (in seguito diventeranno otto) avevano scosso moltissime famiglie, moltissimi cittadini. Quella bomba aveva lacerato una società coesa, una comunità. M'interrogo, oggi sarebbe ipotizzabile un simile sentimento? Che cosa potrebbe accumulare delle persone in piazza? Forse l’arrivo di un calciatore di grido.

Per raccattare qualche presenza, alle conferenze di piazza, oggi, prelevano i pensionati e li caricano nei pulman, promettendo loro cibo o soldi. Inpensabile a metà anni settanta, sia se a parlare erano leader di destra, sia se erano di sinistra. Al minuto 25 del documentario si ritrovano le immagini originali del funerale dove erano presenti Mariano Rumor, capo del Governo di allora e Giovanni Leone, Presidente della Repubblica.  Fischiatissimi (altro che i penosi piagnistei dei Berlusconi prima e dei Renzi poi che danno del populista a chi li critica).

Manlio Milani, che vede avvicinarsi il Presidente Leone pensa tra se e se… “Cosa dico a questo? Come mi comporto? Lo saluto? Gli stringo la mano o gli do una sberla perché non è stato capace di muoversi in un’ottica più democratica…”. Sottolineo, un cittadino pensa di prendere a sberle il Capo dello Stato perché è, sospetta, responsabile di una situazione sociale e politica negativa. Manlio, lo ricordo è l’uomo che uscì sorridente nonostante un giorno di pioggia con a fianco la moglie e che ritornò a casa da solo, con un vuoto mai più riempito. Un uomo come poteva essere ognuno di noi. Leone si sta avvicinando a Manlio quando, poco prima che gli fosse a ridosso, un suo vicino scattò e prese per il bavero l’autorità urlando “Basta Leone! Non possiamo più permettere che simili atti vengano a ripetersi. La democrazia deve impedire che ciò debba ripetersi…”!

Manlio voleva esprimere con energia il suo disappunto, ma il suo non era un sentimento isolato, era stato preceduto. Oggi un simile gesto pare impensabile, siamo forse diventati più civili? Allora che un politico rispondesse in piazza ai suoi elettori, era evidentemente una cosa normale. Oggi i nostri politici viaggiano costantemente protetti dalle loro guardie del corpo. Intoccabili. Allora, e si parla di una società dove gli scambi di vedute si facevano anche a cazzotti e con le spranghe, un politico affrontava il suo elettorato. La realtà è che allora il politico sapeva che aveva delle responsabilità verso chi era in piazza, verso il popolo. Da chi aveva di fronte aveva ricevuto il mandato che forniva lui potere e remunerazione, ma verso del popolo, verso chi era in piazza, doveva sempre delle spiegazioni. Spiegazioni che erano pretese.

Oggi nessuno o quasi si sposterebbe di casa. Chi si riversa in piazza, per noia non certo per interesse, lo si vedrebbe ricurvo con la testa sul suo cellulare. Ci lamentiamo dei nostri politici, ma la realtà è che loro, i politici, sanno che noi cosa loro fanno non lo sappiamo e a dirla tutta manco più li riteniamo responsabili di qualcosa, convinti come siamo che sia il “mercato” a dettare le decisioni, come se il mercato fosse una struttura sovrannaturale, e non un costrutto umano e come tale modificabile. Oggi l'elettore quando incontra un politico invece di chiedere lui delle spiegazioni per una crisi che ci ha devastato, si fa un selfi e lo posta sorridente, con sguardo da ebete. Voglio dire una cosa a chi mi legge, il mercato c’era anche nel 1974, e però in quel mercato c’era anche chi sapeva riequilibrare le forze in gioco a favore del popolo.

Non ce l’ho una soluzione a questa deriva, ma mi rendo conto che forse il non aver mai partecipato con entusiasmo ad una manifestazione di piazza è un qualcosa che mi manca. Il rifiutare l’attività politica non è un “esser furbo”, magari corroborato dalla certezza che “…tanto è tutto inutile!”. Ezra Pound, un poeta e saggista simpatizzante di Hitler e Mussolini disse “Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee o non valgono nulla le sue idee, o non vale nulla lui”. In compenso in questi giorni pare ci fossero dieci milioni di telespettatori sino alle due di notte per vedere la finale del “Grande Fratello”. Due Italie diverse, anche se la bandiere che sventola è sempre bianco, rossa e verde, come quella che avvolse quelle bare.

Mirco Venzo, Treviso 01/12/2017 #qzone
Nella foto raccolta dalla rete Piazza della Loggia subito dopo l’attentato.

Rif. 1 https://www.youtube.com/watch...
Rif. 2 https://www.youtube.com/watch...

 

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