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20180126 vm forni crematoriHo riletto recentemente In quelle tenebre di Gitta Sereny, sul campo di sterminio di Treblinka (rif. 1) e sto leggendo Gulag – Storia dei campi di concentramento sovietici di Anne Applembaum (rif. 2); a breve, spero, posterò degli articoli che sintetizzano i punti di affinità, tra le due strutture e quelli di dissonanza. L’attuale periodo storico tuttavia m’induce a delle riflessioni che voglio condividere con voi lettori di Qzone, specie in tempi come questi dove le commemorazioni sulla Shoah si sprecano. Partiamo da una prima considerazione numerica: i campi di concentramento coordinati dai nazisti si calcolano in un numero che si aggira attorno a 15.000 unità (rif. 3)

quando i campi di sterminio tanto citati erano “solo” quattro o sei, a seconda dei punti di vista; sono talmente pochi che li possiamo ricordare e commentare: Chełmno (Kulmhof, nella documentazione tedesca) cui si aggiungono i tre campi dell’operazione "Reinhard” ovvero Bełżec, Sobibór e Treblinka. Che cosa significa campo di sterminio (Vernichtungslager)? Significa che la struttura era organizzata per trasformare in cenere ogni individuo ("stuck" nel gergo nazista) che vi era destinato.

A questi campi si deve sicuramente aggiungere uno dei campi dell’arcipelago di Auschwitz, precisamente quello di Birkenau, tra gli oltre quaranta di quell’area. Mentre gli altri campi avevano scopo produttivo, e chi vi veniva indirizzato doveva lavorare, chi veniva trattenuto a Birkenau aveva come sentiero obbligato quello delle camere a gas e dei forni. Alcuni ritengono sia un campo di sterminio anche Majdanek per l’alto numero di vittime che vi fu, pur se personalmente mi dissocio rifacendomi alla logica nazista che lo riteneva un campo di concentramento (Konzentrationslager) "…solo occasionalmente usato come campo di sterminio, al fine di eliminare coloro che non potevano venire uccisi nei campi di sterminio dell’Operazione Reinhard” (Quelli sopra citati).

E veniamo al dunque, i campi di concentramento e smistamento sono quelli dove venivano racconti gli individui che per ragioni razziali (e non solo), dovevano essere “asportati” dalla collettività per essere inviati dove? Ecco il punto per essere inviati a lavorare. La maggior parte dei lager erano campi di lavoro (Arbeitslager) dove la forza lavoro veniva sfruttata sia per ragioni di Stato (realizzazione di strade o infrastrutture, tra cui gli stessi lager) sia a vantaggio di aziende private. Alcune ditte tedesche, evidentemente non poche e tra le quali non mancano i nomi illustri quali Krupp, Siemens, Bmw, Volkswagen (rif. 4) utilizzavano la manodopera “gratuita” fornita dai deportati. Auschwitz, dove l’azienda di riferimento era la IG-Farben che operava nel campo chimico, da cui nasceranno in seguito la Agfa, la BASF e la Bayer (rif. 5) spiega bene il concetto: il deportato veniva selezionato dai medici che se lo ritenevano in forza per produrre lo inviavano in uno dei 45 campi di lavoro, mentre se era ritenuto inutile perchè troppo giovane, o troppo vecchio, veniva destinato nell’area di Birkenau dove sarebbe stato eliminato; qualche eccezione all'eliminazione immediata poteva riguardare persone destinate agli esperimenti medici dove, tra gli altri, operava il tristemente famoso J. Mengele. venendo realizzati a Birkenau, area di strminio, la fine era comunque scontata. Non c'era via di salvezza per nessuno.

Tutta l’operazione dei lager, a ben guardare altro non era se non un modo per sfruttare il lavoro di milioni di persone senza retribuirle e alimentandole il minimo possibile per contenere i costi (massimizzando di conseguenza i profitti). La giustificazione ideologica, naturalmente, non era secondaria, la razza inferiore doveva essere annientata attraverso il lavoro, ma se in più di un lager appariva la scritta “Arbeit macht frei” ( - Il Lavoro rende liberi - tra cui i più noti sono Dachau e lo stesso Auschwitz), si conferma come l’idea di far lavorare gli ebrei aveva una sua centralità, aspetto questo di cui mai nessuno parla. Manco a dirlo lo sfruttamento era stato studiato e pianificato. Ricordo aver letto da qualche parte che i medici tedeschi avevano calcolato il deportato potesse vivere per circa tre mesi, in media, una volta internato. Lo studio si basava sul consumo di calorie utilizzato per lavorare e quelle ingerite dalle scarne razioni. Il lettore deve prendere con le pinze queste reminescenze cui non ho al momento la possibilità di fornire il riferimento, ma rimane il concetto che il lavoro° non era un aspetto secondario in tutta l’opera di deportazione che coinvolgeva quelli considerati sub-umani dall’ideologia nazista.

La cosa sorprendente è che in modo ancor più esplicito rispetto ai lager tedeschi, ad essere strutture decisamente produttive, erano i Gulag sovietici. Proprio la nazione che parlava di eliminare lo sfruttamento dall’umanità si preoccupava di quanto producessero gli "zek" deportati nei territori più impervi del vasto territorio sovietico. L’organizzazione dei Gulag, sostiene la Applembaum a più riprese cerca di comprendere come massimizzare la produzione, arrivando a punire i comandanti che trattavano troppo male i prigionieri al punto di indurli alla morte. Il problema sovietico non era l’aver leso il diritto ad un cittadino, nulla era più farsesco dei processi con cui i malcapitati finivano nei Gulag, per cui parlare di diritti di chi era stato internato in base a false illazioni o a supposizioni mai seriamente confermate, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, sarebbe fuorviante, l’approccio corretto è un altro: i comandanti dei Gulag venivano puniti perché un alto numero di decessi, banalmente comportava un calo delle produzioni: se ammazzi il lavoratore la tua produzione ne risente. Questo era il problema.

D’altra parte gli stessi responsabili dei Gulag avevano il grattacapo di tener in funzione un “apparato produttivo” privo di organizzazione e di risorse, le stesse guardie soffrivano di malattie causate da carenze alimentari, facile immaginare come stessero i poveri prigionieri. Dati questi mezzi veniva chiesto ai responsabili di recuperare oro, ad esempio, in territori dove la temperatura scendeva sotto lo zero di 40/50° C. Sto arrivando alle conclusioni: l’avvento del secondo conflitto mondiale era stato previsto da un economista, John Maynard Keynes, e stranamente nessuno lo va mai a nominare. I Lager, come pure i Gulag, erano anche sistemi produttivi che sfruttavano sino alla morte chi vi ci cadeva dentro. Quando una produzione è realizzata senza riconoscere “il giusto” a chi quei manufatti ha realizzato, siamo sempre di fronte ad un torto. Marx sosteneva che le ideologie sono sovrastrutture che mascherano e reggono un sistema produttivo.

La cosa pare vera sia nel mondo nazista, dove gli ebrei erano una razza inferiore ma poi se c’era da farli lavorare a costo zero, andavano bene anche loro, prima di essere eliminati. Anche nell’Unione Sovietica con leggerezza si tacciava una buona fetta della popolazione come “nemico dello Stato” e una volta fatto ciò la preoccupazione non era il recupero del cittadino, ma farlo produrre il più possibile. Seguitare ad ignorare l’economia e seguitare a piangere i morti nei lager senza approfondire i processi che li hanno generati pare a me cosa disdicevole proprio anche per gli stessi morti. Non solo, è deprecabile soprattutto per coloro i quali oggi stanno morendo e stanno soffrendo. Penso ai milioni di poveri creati dal modello neo liberista, penso ai morti che sono a casa nostra, morti perché non han potuto permettersi cure mediche, morti causa suicidio non solo operai e impiegati rimasti senza lavoro, ma anche imprenditori i quali non solo non vengono commemorati, ma manco vengono citati dai media nazionali.

Per non parlare di come un Paese nell’Europa della pace (così ce la vogliono presentare), la Grecia, sia stata proprio da quest’Europa costretta a retrocedere a livelli di terzo mondo. Se nella Germania nazista la propaganda predicava i principi razziali, con lo scopo nel concreto di sfruttare gli ebrei, se nella repubblica Sovietica comunista si predicava un’ideologia superiore, dove chi veniva tacciato di complottismo finiva nei Gulag, con lo scopo, nel concreto di sfruttarne il lavoro, oggi si inneggia l’idea dell’Europa e del liberismo, andando a ridimensionare i diritti e le remunerazioni dei lavoratori. Quei diritti e quelle remunerazioni elevate a valori fondamentali proprio dai reduci di quella triste esperienza bellica degli anni '40. I costituenti italiani avevano compreso che la pace senza questi principi non è percorribile o non è duratura. Oggi tutti i diritti conquistati dai lavoratori nei decenni post seconda guerra mondiale li stiamo perdendo giorno dopo giorno, tra una commemorazione del passato e l’altra. Mi spiace se sono andato controcorrente, ma io la vedo così.

Mirco Venzo, 25/01/2018 #qzone
Foto di Paolo Fenato scattata a Majdanek

Rif.1 https://www.adelphi.it/libro/97888459020481 
Rif. 2 https://www.amazon.it/Gulag-Storia-campi-c...
Rif. 3 https://it.wikipedia.org/wiki/Lista_dei_camp...
Rif. 4 http://digilander.libero.it/francomartino/sf...
Rif. 5 https://it.wikipedia.org/wiki/IG_Farben

° La visione dei lager nazisti come strutture finalizzate allo sfruttamento del lavoro non è accettata da tutti gli studiosi. Rimangono i numeri, se erano solo sei, (a farla grande), i campi organizzati per il sistematico annientamento degli ebrei, quando i campi erano decine di migliaia, o si rivede l’idea di efficienza e organizzazione tedesca, oppure dobbiamo trovare nuove chiavi interpretative. La comparazione con strutture simili quali i Gulag pare a me un corretto modo di procedere. Piaccia o meno, l’idea di far lavorare gratis le persone interessa da sempre alle élite che da quello sfruttamento traggono benefici, e sempre costoro ammantano ciò in edulcorate visioni religiose, ideologiche o filosofiche.

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