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20190623 MB FranciaIl titolo di questo articolo non allude a nessuna mia affezione per il Paese d’Oltralpe. Anzi. Sono rimasto a Parigi due mesi e mezzo per lavoro. Sono capitato lì in un momento di particolare movimento: gilet gialli, elezioni europee, cattedrali in fiamme. Non avendo il tempo né la voglia di aprire un giornale o di chiedere l’opinione della gente, queste sono solo le sensazioni di un viaggiatore poco informato. Prendetele per come vengono.

Il mio primo incontro indiretto con i gilet gialli è stato nel giorno del mio arrivo a Parigi. Mi era venuta a prendere alla stazione del treno la signora che mi ospitava: un’ex campionessa mondiale di judo sulla cinquantina. Inglese, a Parigi da una vita, un po’ bigotta. Mentre con il suo macinino andiamo verso casa, passiamo per una rotonda con al centro un gazebo dei gilet gialli. Lei suona il clacson ed esclama qualche verso di approvazione. Chiedo: “Ma sei a favore dei i gilet gialli?” Risposta: “Qui tutti sono con loro”. Guardo il cruscotto della macchina: c’è un gilet ripiegato. Oh cavolo, non è che gli sono finito in casa? Poco male, la sera intavolo la conversazione per indagare. Cosa vogliono questi gilet gialli? Meno tasse. In Francia i prezzi per riscaldamento e gas hanno avuto un aumento costante ogni anno, e la cosa va avanti più o meno da sempre. Infatti se la mia doccia dura più di dieci minuti la signora mi ammazza. Signora che durante questa conversazione sottolinea di apprezzare particolarmente l’evasione fiscale, perché di queste tasse in Francia non ne può proprio più nessuno. E infatti nemmeno a dirlo, il mio affitto è pagato in nero e non ho visto uno straccio di contratto. Piccola chiosa su Macron: si crede Napoleone e vuole prendere ogni decisione da solo, cercando di aggirare i meccanismi parlamentari. Di nuovo, prendetela per come viene: l’opinione di una signora bigotta. Prendete anche la mia: Macron era la speranza in un giovane che si è subito dimostrato vecchio. Troppo furbo, troppo addentro nei meccanismi della politica. Una delusione per tutti noi europei.

Poi è arrivato il primo vero incontro vero con i gilet. Era uno dei miei primi weekend a Parigi, quando ancora ero contento di girare con la mia fotocamera e di avere tutta la città a mia disposizione. Ero lungo il canale Saint-Martin, dove avevo pranzato. Molto simile ai Navigli di Milano, ma un po’ più brutto. Me ne stavo tranquillo a prendere il caffè al bar, quando ecco che il mondo mi esplode intorno. Urla, sirene, botti. Esco: vedo una battaglia in fondo alla strada. Posso decidere di andarle incontro o di andare via. Prendo la fotocamera e vado verso la guerra. Più mi avvicino e più le gambe mi tremano e a ogni botto faccio un salto. C’è una folla di gente che carica contro la polizia cantando la Marsigliese. Ma guarda un po’, è pure emozionante. Fumogeni dappertutto, aria irrespirabile per la plastica dei motorini e dei cassonetti bruciati. Sono abituato a fotografare le montagne e qui mi sento un reporter dal fronte. Poi mi guardo intorno: lungo al canale la gente continua a mangiare beatamente e a prendere il sole, con le granate assordanti che esplodono a cento metri. A quanto pare, dopo l’ennesimo sabato pomeriggio di disagi per la città, i parigini hanno sviluppato nei confronti dei gilet gialli una specie di apatia.

Nel mio secondo incontro li cerco io. Viene dichiarata ufficialmente una manifestazione che parte da Montparnasse e arriva a Place d’Italie. La prima volta sono rimasto impaurito dietro la polizia, adesso decido di marciare con i gilet. Una volta per uno. Per questa occasione ai gilet si è unito un sindacato dei lavoratori. Loro hanno il gilet rosso. La manifestazione è noiosa, pacifica. Il giorno dopo me ne lamento con un collega: c’erano quelli del sindacato, che hanno reso tutto più istituzionalizzato. Niente da fotografare. Il collega però mi spiega che quel sindacato si scontra spesso contro le forze dell’ordine durante le manifestazioni. Sindacati che picchiano, hai capito questi francesi!

Poi è arrivato l’incendio di Notre-Dame. L’atmosfera è quella di un lutto e sembra di partecipare a una veglia funebre. Quando scrivo agli amici per avvertire che sto bene e riferisco della tragedia, uno di loro mi dice: “Mi dispiace per i francesi, però è karma”. Credo che questa oggi sia la percezione verso la Francia: un Paese che la sta pagando per aver riempito tra le pagine più buie della Storia con la sua politica estera. Per i complottisti, l’incendio è stato architettato da Macron, perché quel giorno era prevista la conferenza stampa in cui avrebbe indicato come risolvere il problema con i gilet. C’è chi dice addirittura di averlo visto ridacchiare mentre la cattedrale andava in fiamme. O chi dice di averlo visto sulle impalcature. Nemmeno a dirlo, la mia padrona di casa accresce le fila di questa gente. Poco male, la conferenza viene rinviata alla settimana dopo ed è una delusione per tutta la Francia. Macron non ha detto nulla di concreto. Mi hanno detto che le domande dei giornalisti erano quasi tutte pilotate e conosciute da Macron prima della diretta. Ai giornalisti di opposizione vengono lasciati solo pochi interventi. Però prendetela così, perché me l’ha sempre detto la mia padrona di casa.

Insomma Macron non ha convinto ed è arrivato il 1° maggio. Quindi la più grande manifestazione si prepara. La chiamata sui social è a “La fin du monde”. Ovviamente mi ci fiondo. Il percorso è sempre quello: da Montparnasse a Place d’Italie. L’organizzazione questa volta è fatta in pompa magna: stand con il cibo, birra, musica. Sembra il Festival di Woodstock. Poi il corteo parte. Quando lo scontro tra la testa del corteo e la polizia diventa troppo violento, non ce la faccio e mi tiro indietro. Che peccato - penso - stando dietro non riuscirò a capire la situazione. Avevo rinunciato dall’inizio a farmi un’opinione sui gilet gialli perché non sono preparato sulla politica interna francese. Se un poliziotto mi acciuffava avevo già pronta la risposta: “Je suis italien, c’est pas ma bataille”. E invece è proprio in quel momento di fuga che me ne sono fatta una. Il movimento dei gilet gialli è nato come protesta per il rincaro dei prezzi della benzina. Per proteggere il potere d’acquisto. In corteo ho visto ogni tipo di slogan, la maggior parte sul socialismo. Gente che parlava di Rivoluzione. Bandiere con il volto di Che Guevara. Ammonimenti ambientalisti sul global warming e sulla plastica negli oceani. Mi sembra abbiano le idee confuse. Quel giorno mi sono trovato a girare per una piazza deserta di Montparnasse ridotta a un porcile. Spazzatura di ogni tipo, cibo, soprattutto di fast food. Prima di fare la Rivoluzione forse bisognerebbe essere capaci di farla nella propria vita.

Luoghi comuni sui francesi? Non sarò io né a smentirli né a confermarli. Una cosa la posso dire: le persone migliori con cui si può stringere amicizia a Parigi sono i nordafricani. Oggi si parla spesso di Mare Nostrum. A sproposito: il Mediterraneo era Mare Nostrum per i romani, perché era il baricentro dell’Impero. Un cittadino romano si sentiva perfettamente a casa sua in Tunisia o in Egitto, di gran parte le regioni più avanzate e acculturate dell’Impero. Se si voleva punire un legionario, lo si mandava a prendere servizio sul Reno o in Britannia. Oggi i baricentri dell’Europa sono Bruxelles e Strasburgo. A Parigi però è molto più facile essere invitati a casa di tunisini o algerini e se è vero che noi italiani chiamiamo i francesi cugini, loro li dovremmo chiamare fratelli. E dopo questa esperienza anch’io sono un po’ più convinto che questo Mare, dopotutto, sia ancora un po’ Nostrum.

Matteo Busato, Giugno 2019 #qzone
Foto Matteo Busato

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