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20230605 VM ultimo bacioIeri sera ho rivisto una delle pellicole che più mi avevano entusiasmato del cinema italiano, L’ultimo Bacio a regia di Gabriele Muccino che ne è pure l’autore del soggetto e lo sceneggiatore. Come recensire un'opera su cui già si è scritto molto ed ha già ricevuto numerosi premi da parte della critica specializzata, oltre ad aver sorpreso per un indiscusso successo al botteghino? Per la cronaca questo film rimase nelle sale cinematografiche per sei mesi. Inizierei affermando che, evidentemente, questa pellicola del 2001 venne apprezzata perché sapeva descrivere una realtà in cui gli spettatori si riconoscevano, insomma, questa trama e il modo in cui gli attori l’hanno interpretata, parlavano di ciò che siamo e della realtà che stavamo vivendo. Qual è l’aspetto descritto dal regista? Sono le relazioni umane, ed in particolare le relazioni di coppia

Cosa ci dice il regista? Ci dice che queste sono tutte appese ad un filo e che cosa lega un uomo ad una donna rimane un mistero. Un mistero è anche la causa che può ledere questo legame, che sempre appare indissolubile nel momento in cui ambedue sono innamorati e si pensa poter affrontare qualsiasi cosa. Non è così e molte insidie si prospettano cercando di scalfire questa presunta granitica solidità, trascinando chi si amava nella palude della disperazione, nella litigiosità o ad approdare alla noia; il risultato sarà la solitudine dove i ricordi spesso lacerano anziché alleviare. In questo senso L’ultimo bacio non è affatto un film che segue la falsariga “americana” dove subito lo spettatore individua tra i maschi e le femmine chi si accoppierà, con il consueto finale “...e vissero felici e contenti per sempre!”. 

In questa pellicola, al contrario, ogni coppia proposta spiega allo spettatore come ogni rapporto sia fragile e come sempre tutte le relazioni possano interrompersi creando dolore. Vista da un'altra prospettiva la pellicola ci spiega anche cosa tiene unite due persone e cosa bisogna fare per difendere la relazione, posto che l’ingrediente magico da porre nella pozione che dà la felicità, varia di caso in caso, di coppia in coppia, ed è compito di ogni persona trovarla ed applicarla nella giusta dose. Alla fine direi che ognuna delle coppie analizzate contribuisce a rendere chiaro che le unioni tra uomo e donna sono imperscrutabili. Questo è il messaggio che io ritengo di aver compreso da questo lavoro, ma lascio allo spettatore individuare l’insegnamento che lui ha recuperato dal variare delle numerose situazioni che ci vengono presentate dalla trama. 

La modalità con cui il regista illustra questo concetto è una sorta di puzzle, dove pezzettini di dialoghi che si susseguono con grande ritmo si alternano, e allo spettatore spetta il compito di incollare un tassello all’altro, visualizzando, man mano che la pellicola scorre, un disegno che via via si andrà a dettagliare e rende chiara la complessità di ogni singola coppia e cosa piace, o dispiace, ad ogni singolo protagonista. Questo susseguirsi di informazioni fornirà la cassetta degli attrezzi a chi osserva per cercare di capire cosa non ha funzionato e perché, o, se ha funzionato, cosa ha salvato la relazione. Una ragione per la quale il film piace a molti è proprio perché ogni spettatore può riconoscersi nell’una o nell’altra coppia, e riconoscere i propri amici, o conoscenti, in una o l’altra delle situazioni presentate.

La trama

Carlo (Stefano Accorsi) vive una bella e serena relazione con Giulia (Giovanna Mezzogiorno). La coppia riceve anche la notizia di aspettare una bambina e pare tutto vada a gonfie vele, se non che al matrimonio di comuni amici, l’uomo incontra una teenager, la giovane Francesca (Martina Stella) e se ne invaghisce. Lui è sulla trentina, ha una relazione solida, una vita professionale invidiabile, cosa lo spinge tra le braccia della bella giovane? E’ questo un tema cui lo spettatore dovrà dare risposta. Carlo è molto legato ad altri suoi amici, e anche l’amicizia è un tema che emerge dal puzzle; il più vicino a lui, anche perchè è un collega di lavoro, è Adriano (Giorgio Pasotti), che invece di vivere con piacere e serenità la relazione con la propria compagna Livia (Sabrina Impacciatore) e godere della paternità, si dimostra insofferente nei confronti della relazione. Proprio la presenza del figlio, si ha questa sensazione, è la causa che ha rotto degli equilibri nella coppia e mentre Livia accetta senza problemi tutto ciò, Adriano si sente soffocare e sorge in lui la dirompente necessità di rompere le catene che la relazione familiare rappresenta. Come trovare una via di fuga? 

Forse seguendo la traccia proposta da Paolo (Claudio Santamaria) che oltre a non darsi pace per essere stato mollato dalla fidanzata, Arianna (Regina Orioli), si sente affogare dall’attività lavorativa che non ha scelto, (commercia oggetti sacri nel negozio di famiglia), e questi suoi problemi lo portano a crisi depressive ed a un sostanziale disprezzo nei confronti della famiglia d’origine. Il suo sentimento di repulsione per la propria stirpe è tale da dimostrarsi incurante persino dello stato di salute del padre, gravemente malato, generando il comprensibile rancore da parte dello zio Mimmo (Vittorio Amandola) e relegando la mamma Adele (Lina Bernardi) alla disperazione: con suo figlio non sa come comportarsi. Paolo immagina che un viaggio lontano da quella quotidianità, una fuga da tutta quella melassa che lo avvolge, è la sola via d’uscita ed è proprio questa prospettiva ad attirare Adriano che sposa in pieno questa idea. Ad essere coinvolto nel progetto del viaggio vi è anche Alberto (Marco Cocci) che in tutto il film ogni volta viene affiancato da una ragazza, se la porta a letto. 

Annoio il lettore aggiungendo altri protagonisti: la mamma di Giulia, Anna (Stefania Sandrelli) si sente sfiorire e l’idea di diventare nonna contribuisce a irritarla. Vorrebbe ravvivare la relazione sentimentale con il marito Emilio, (Luigi Diberti) un libero professionista che invece affronta la sua età con apparente serenità ed anche ciò contribuisce a irritare Anna. Come Anna pensa di uscire dalle sabbie mobili della banale quotidianità? Decide che deve tradire il marito e tenta in un primo momento la strada dell’avventura con Michele (Piero Natoli), che si rivelerà un disastro, e successivamente cercherà di ricucire i rapporti con una sua vecchia fiamma, il Prof. Eugenio Bonetti (Sergio Castellitto) riuscendo nella difficile operazione di cadere dalla padella alla brace. Sottotraccia il regista qui ci sta dicendo che se le relazioni sbocciano come fiori a primavera quando si è giovani, con lo scorrere degli anni diventa molto più difficile che qualcosa sbocci, e la nostra volontà nulla può nel generare un sentimento, una relazione dove chimicamente ci si sente attratti da qualcuno. Chiudo ricordando la presenza di Marco, (Francesco Favino) fresco sposo di Veronica (Daniela Piazza).

L’essermi prolungato nel lungo elenco degli attori ha più ragioni, anzitutto era omaggiare degli artisti che si sono espressi tutti ai massimi livelli, ed è questa una ragione per cui questa pellicola l'ho tanto apprezzata. Voglio precisare, se è indiscutibile che i due protagonisti principali sono Accorsi e la Mezzogiorno, è altrettanto vero che tutte le altre coppie che circolano attorno a questo faro, gettano continui messaggi allo spettatore e altrettanti spunti di riflessione. Una seconda ragione a rendere interessante il film è legata ai diversi modi di interpretare la relazione di coppia e ciò contribuisce a rendere significativa l’intera opera, a conferma che non è un film impregnato sulle sole vicende di Carlo e Giulia, ma è un film che parla delle relazioni in senso lato, ed in tal senso ognuna delle coppie presentate fornisce una sua verità, un suo equilibrio, o forse un disequilibrio dove, magari solo parzialmente, lo spettatore si riconosce. La terza ragione per la quale ho voluto citare tutti riconduce al fatto che questa pellicola, come spesso accade ai film di successo, avrà dieci anni dopo un seguito, sempre a firma Gabriele Muccino, dal titolo Baciami ancora (rif. 2) e alcuni di questi protagonisti torneranno in scena.

E’ ora giunto il momento di spiegare cos’ha questo film di così importante e, nel contempo, di scrivere delle osservazioni che siano farina del mio sacco. Wikipedia, ma anche altri opinionisti in rete, affermano che in questa pellicola ben ci racconta della sindrome di Peter Pan. Copio ed incollo quanto la rete afferma a riguardo: “La sindrome di Peter Pan, scientificamente chiamata neotenia psichica, è quella situazione psicologica in cui si trova una persona che si rifiuta o è incapace di crescere, di diventare adulta e di assumersi delle responsabilità. La sindrome è una condizione psicologica patologica in cui un soggetto rifiuta di operare nel mondo "degli adulti" in quanto lo ritiene ostile e si rifugia in comportamenti e in regole comportamentali tipiche della fanciullezza.” (rif. 3) 

E’ indubbio che alcuni protagonisti della pellicola ricordino o forse proprio esemplificano questa sindrome, ma è a mio giudizio un sentiero errato questo da seguire, il film per me è una buona illustrazione del concetto di società liquida ideato da Zygmunt Bauman e da me sintetizzato in un articolo presente nel blog (rif. 4) 

Cosa caratterizza la società liquida che si contrappone a quella del secolo scorso, la società solida? La società liquida vuole movimento, aborra la staticità, la noia ed ha un faro da seguire: la propria felicità immediata. Nel film parecchi protagonisti ambiscono all’idea di viaggiare, di spostarsi. L’idea della famiglia in molte delle coppie presenti è vista come un'ancora che tiene fermi, recipiente che “imprigiona” il singolo e lo chiude, lo rende stagnante. Anna (Stefania Sandrelli), Adriano (Giorgio Pasotti) confermano con forza questa mia posizione e indicativo è anche il personaggio di Paolo (Claudio Santamaria) che vede non solo la famiglia d’origine come un cappio al collo, ma tale per lui è anche il lavoro presso il negozio di famiglia. La società liquida non vuole relazioni stabili, siano esse affettive, o lavorative: vuole flessibilità e un posto sicuro e dignitosamente remunerato come quello del negozio di oggetti sacri, se nel secolo scorso era un sogno cui ambire, per Paolo (e forse per molti nostri conoscenti) è la causa di turbe psichiche! 

C’è una forza che orienta l’azione dei singoli individui nel film, come nella società liquida, ovvero la ricerca della felicità vista come un diritto da perpetuare singolarmente! Nel mio articolo di cui il rif 4 parlo del “...principio del piacere contrapposto al principio di realtà, o se si preferisce il principio di libertà contrapposto a quello della sicurezza”. Molti dei protagonisti del film cercano la loro felicità a qualunque prezzo: lo fa Carlo, pur avendo il sospetto che questo ferirà la compagna in dolce attesa, lo fa la giovane Francesca, che non si pone il problema di vivere una relazione con un uomo più anziano di lei, ed è intuitivo che quello che sta vivendo è un sentimento momentaneo che non ha le caratteristiche per durare nel tempo, ma è quello stesso sentimento che ricerca con fatica Anna, incurante di poter causare la rottura della propria famiglia che ha tutte le caratteristiche della solidità. Alla fine tutti (o quasi) cercano la propria felicità, incuranti delle conseguenze che ciò genera a chi sta loro accanto… 

La pellicola esce nel 2001 e pare a me un manifesto della società liquida che caratterizza questo nuovo millennio. Tutte le relazioni vengono frantumate da esigenze egoistiche, ciò che dovrebbe essere solido non si esita a sbriciolare per assecondare quel “principio di piacere” sopra citato e in ossequio al “principio di libertà” pure ricordato. Peccato che la libertà “tua” di inseguire un viaggio senza manco avere le idee chiare di dove andare, causi l’abbandono del figlioletto che rimane a gravare sulle spalle di mamma Livia. Poco saggio pare anche lo scambio che Adriano pone sul tavolo alla compagna: “Oggi vado via io, ma magari tra sei mesi ritorno e parti te…” Del benessere e delle esigenze del figlio l'uomo non ci pensa proprio. Sgretolata del tutto l’idea di famiglia stabile, d’altra parte la prima reazione di Giulia dopo aver scoperto il tradimento del compagno è tenersi la piccola senza dare a lei un padre. “Non ti voglio più, mi fai schifo…” e ancora, “La figlia e mia, sono io che ce l'ho in pancia, cosa vuoi te!?” Non sono le frasi testuali, ma una sintesi dei concetti che la donna esprime al compagno e, faccio notare, delle esigenze della piccola che deve ancora nascere non si preoccupa minimamente. Il principio di libertà, scrivevo, che si contrappone al diritto della bambina a vivere in una famiglia tradizionale con mamma e papà, com’era nel secolo scorso, quello della “società solida”. 

In tal senso questa pellicola del 2001 accenna a l’idea di famiglia che oggi sta venendo proposta a più riprese, si può avere un figlio senza compagno: anche per farsi fecondare mica serve un maschio, basta andare in una clinica. In bella sostanza si può avere un figlio anche senza una donna, due gay hanno "il diritto” di metter su famiglia ed un filosofo della fama di Umberto Galimberti difende queste istanze precisando che ogni persona ha bisogno di amore, e non si interessa di chi glielo da, se uomo o donna…

Oggi la società globalizzata cestina l’idea di famiglia tradizionale e questa pellicola inizia ad avventurarsi verso questa frontiera perorando il sentiero dell’individuo che deve inseguire la propria felicità! Nella pellicola emerge l’idea da parte di molti protagonisti che sia proprio il legame famigliare ad ostacolare questa ricerca. Ora, se mi permetto di chiamare in causa Bauman e la sua teoria della società liquida, che si regge sul “diritto” alla felicità (Vedi nota) lo faccio anche perché lo stesso regista andrà, pochi anni dopo, a creare un film dal titolo La ricerca della felicità (2006 con Will Smith), palesando che questo tema della felicità è al centro della sua ricerca. Faccio ora un passo indietro e ritorno ai dettagli del film, le interpretazioni sociologiche e la fotografia della società che ho cercato di presentare in questo articolo nascono da un film dove di tutto ciò non si parla affatto, il film, lo ripeto, è caratterizzato da una interminabile sequela di dialoghi e di situazioni che io ho ricostruito andando a creare questa interpretazione. Altri che dovessero visionare questa pellicola magari non trovano questa chiave di lettura. 

Ad esempio l’amica che avevo al mio fianco la prima volta che vidi l'opera al cinema, si dimostrò palesemente infastidita dal personaggio di Carlo che “Non doveva tradire la compagna, per giusta incinta”. A lei è sfuggita l’ultima scena dove la stessa Giulia corre nel parco per assecondare e curare il proprio corpo. Pare lusingata nell’attirare l’attenzione di un altro giovane atleta, le attenzioni di quel maschio nei suoi confronti si capisce che la intrigano e… scorrono i titoli di coda, ma nulla vieta allo spettatore immaginare che ci sarà un seguito tra i due. Alla mia amica pareva sacrilego il tradimento di Carlo, e se il tradimento seguente lo avesse perpetrato Giulia, sarebbe stato più accettabile? 

Quello che voglio dire è che se Carlo l’ha tradita, per assecondare le istanze di un momento, nulla impedisce di credere che anche Giulia è pronta a fare lo stesso, in questa società tutto ciò non dico sia legittimo, ma pare sicuramente legittimato. Il film però parla anche del dolore che danno le relazioni che si rompono e la frase tipicamente hollywoodiana “...e vissero felici e contenti” proprio non viene presa in considerazione da questa pellicola. Ultima considerazione: questo film racconta molto delle relazioni di coppia, ma narra anche dell’importanza dell’amicizia. Un amicizia meno mitica rispetto alle versioni che ci proponeva Sergio Leone, ma più riconoscibile nella nostra quotidianità. Forse anche più criticabile. Ancora: il film non può essere considerato una testimonianza della società italiana del nuovo millennio in quanto non tratta il tema del lavoro (accennato solo per definire uno tra i molti personaggi), e non fa comparire neppure a titolo di comparsa nessun extracomunitario, figura che oggi è alla base della società che ci circonda. 

Non vuole questa essere una critica, quanto una considerazione. La pellicola ha molti meriti e comparandola, ad esempio, con l’ultimo film che ho recensito, Passengers (rif. 5) noto che qui vi sono molteplici interpreti, per altro come già detto tutti recitano meravigliosamente, qui c’è sempre un gran ritmo, mentre in Passengers ci sono molti momenti di silenzio e di tranquillità; qui le coppie sono sempre in balia della precarietà e pare che siano loro la causa della loro stabilità (o instabilità), mentre nella pellicola di Morten Tyldum sono elementi esterni a causare la felicità o l’infelicità: l’avaria dell’astronave, la tecnologia che assiste, ma sino ad un certo punto… e pur con queste avversità alla fine il “...vissero felici e contenti, fino a che morte non li separerà” appare come un finale che nessuno mette in discussione. Perché accenno a questo parallelo con Passengers? Perchè Gabriele Muccino ebbe l’offerta di fare la regia alla trama fantascientifica, e per nostra fortuna rifiutò. Certo, non c’è controprova, ma se Muccino mi ha entusiasmato con l’Ultimo bacio e la sua visione dell’amore, altrettanto ha fatto Morten Tyldum che ha proposto un approccio totalmente differente alla relazione. 

L’Ultimo bacio è un gran film e la trama giustifica la seconda "puntata" che nascerà in seguito, a titolo Baciami ancora, che magari commenterò in futuro. Ultima annotazione: tutti i numerosi protagonisti sono attori italiani, quindi non solo la trama e la sua costruzione, ma anche questo dettaglio finisce per essere un "inno" all'italianità. Anche per questo devo dire "Grazie" a Gabriele Muccino!

Mirco Venzo, Treviso 19/05/2023 #qzone.it

rif. 1 https://it.wikipedia.org/wiki/L%27ultimo_bacio
rif. 2 https://it.wikipedia.org/wiki/Baciami_ancora
rif. 3 https://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_di_Peter_Pan
rif. 4 http://www.qzone.it/index.php/q-themes/mirco-venzo/778-bauman-e-la-societa-liquida
rif. 5 http://www.qzone.it/index.php/q-movies/912-passengers-m-tyldum

Nota: Bauman contesta questa idea egoistica di felicità e mette in guardia verso la rotta che sta prendendo la società: l’egoismo finisce per isolare l’individuo relegandolo alla solitudine, che poi è la principale causa di infelicità. Nell’ultimo bacio a più riprese l’idea di cadere nella solitudine perché si è interrotto il proprio rapporto di coppia, compare chiaramente, così come, altrettanto chiaramente appare come la ricerca spasmodica della felicità egoistica sia poi la causa che fa saltare molte relazioni.

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