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20170306 VM autobusSono stancamente appeso all'autobus in attesa della mia fermata e mi ritrovo, per ingannare il tempo, ad osservare ed ascoltare un ragazzo che chiacchiera con un coetaneo attaccato a me.
Questo giovane, lo colloco tra il terzo ed il quinto anno di studio al liceo. Stava consigliando un gioco recuperabile nel web “…Veramente bello”. In dotazione al nostro controllo v’era un super eroe, scaricabile solo utilizzando una certa applicazione reperibile a certe determinate condizioni (confesso che non saprei citarne una sola tra le molte clausole elencate dal relatore ndr),  utilissimo per “…Sterminare i nemici”. Ed è proprio il verbo sterminare che ha attirato la mia attenzione.

Questo era un gioco di guerra dove lanciafiamme, bombe, mitragliatrici, decapitazioni... erano non solo ammesse, ma costituivano anche il vero motivo di divertimento. L’entusiasmo che il giovane esprimeva nel dialogare con l’amico, evidentemente interessato a questo argomento, mi hanno tenuto incollato alla conversazione. Scopro così che l’anno precedente il mio osservato era diventato uno specialista nel suddetto video game perché, non avendo voglia di uscire con gli amici, trascorreva giornate intere a casa, dove si era perfezionato raggiungendo punteggi stratosferici.

Riflettevo su quanto ascoltavo, ricordando e immaginando la mia adolescenza per trovare affinità e differenze. A quell’età anch’io cercavo di perfezionare le mie capacità, processo che in vero stavo già perpetuando da diversi anni: quelle calcistiche. In questo mi ritrovavo, nel senso che anche il calcio alla fine è una guerra, una battaglia dove devi “colpire”, “finire”, in una parola vincere un avversario. Ma v’erano delle differenze sostanziali tra il mio perfezionarmi ed il suo. Certo, entrambi operavamo in solitudine nel affinare le nostre abilità, ma la differenza sta nell’esito conclusivo, io mettevo la mia abilità individuale a disposizione di un gruppo: questo alla fine significa giocare a calcio, e la battaglia la combatti contro gli avversari è una battaglia dove il rispetto dell’altro è fondamentale, è l’essenza stessa dello sport. Se “elimini” i tuoi avversari fisicamente, alla prossima partita non li trovi più e finisce il divertimento (e hai vanificato tutta la cultura tecnica che ti sei fatto a costo di enormi sacrifici).

Nel caso attuale invece, per un intero anno, e per sua ammissione, il giovane aveva operato isolato, chiuso nella sua cameretta per compiacere solo a se stesso. Alieno rispetto alla società. Oltre a ciò, in un ipotetico viaggio in autobus avrei io parlato per tutto quel tempo solo di calcio con un amico, a quell’età? Direi proprio di no. Prima o poi, tanto o poco... un commento, un apprezzamento, un accenno ad una ragazza sarebbero saltati fuori. E se non fossi stato io a inserire queste considerazioni, sicuramente ci avrebbe pensato il mio interlocutore. Niente di tutto questo nel pullman in cui mi son trovato: questi due giovani erano assolutamente disinteressati, a giudicare dal dialogo, all’altro sesso (o visto che siamo in tempi moderni al proprio).

Alla fermata seguente una vecchina è salita e il mio osservato, con gentilezza, le ha offerto il posto a sedere. Chi avevo di fronte era una persona molto colta, sapeva esprimersi con una bella dialettica anche piacevole da ascoltare (non a caso mi son ritrovato di quatto ad origliarlo), era un esperto del mondo informatico e sapeva muoversi a livello di programmi e di ricerche in rete (oltre che dei giochi correlati); insomma, era un ragazzo sveglio, ben educato e gentile con il prossimo. Pur con tutte queste caratteristiche che mi pareva di aver colto nel breve tempo di una corsa, notavo come avesse parlato solo di distruggere, di ammazzare, sterminare, devastare. Sarà che sto guardando video che parlano delle due guerre mondiali, della campagna in Africa, dei campi di sterminio, della vita di trincea, ma quei verbi usati con giubilo mi han ferito.

Tanto più che questo giovane mi ha ricordato il recente dialogo avuto con l’abruzzese (rif 1). Pure quel ragazzo, un lustro più anziano,  era colto, gentile, preparato, e mi aveva confessato un pessimismo cosmico. Questi due ragazzi del autobus, in particolare l’oratore principale, non hanno esternato in modo palese un pessimismo cosmico, ma la voglia di morte, seppur virtuale, che hanno espresso a parole nell’età dove il tema dovrebbe essere l’amore, anche fisico, mi ha esterrefatto. Non han certo dato la sensazione di essere due pessimisti questi ragazzi, ma i temi da loro serenamente proposti, e la leggiadria del loro vocabolario il pessimismo l'han scatenato in me.

Non ho figli, ma inizio ad esser contento di quel che tempo fa mi pareva una perdita. Sospetto quanto il disagio che ho provato io da ragazzo, e che provo tutt’oggi, sia trascurabile rispetto a quello che le nuove generazioni stanno sviluppando. Mi scusi il lettore se esterno quelle che sono solo delle impressioni, delle istantanee che colgo guardandomi in giro. Ho la sensazione che l’alienazione descritta parlando di Marx (rif 2) sia poca cosa rispetto a queste nuove forme di alienazione, di distacco dalla realtà che rientrano nell’analisi trattata anche da Monbiot (vedi art. rif 3). La butto lì, dopo aver affermato che rimpiango il sistema elettorale della prima repubblica: vado ad esternare che rimpiango anche il vecchio servizio militare. Oltre ad insegnare il rispetto delle norme, insegnava anche la socializzazione, seppur ad un costoso prezzo da pagare (nella mia caserma un commilitone si suicidò).

Nel servizio militare ci si sente, volenti o nolenti, parte di un gruppo e questo mi pare un ottimo antidoto per dissolvere l’isolamento durato un anno del “mio giovane”. Senza contare che pur escludendo di vivere in situazioni di guerra, dopo aver fatto qualche marcia sotto la pioggia, aver perfezionato il passo del leopardo nel fango, aver sentito la tua carne morsa dal caricatore del fucile (che a me, non so come mai, pizzicava sempre) o aver fatto la spalla nera perché il rinculo quando sparavi ti generava un doloroso ematoma che ti accompagnava per una settimana in ogni gesto... la voglia di sterminare, incendiare, sgozzare e devastare si assopisce. Io non ho vissuto pienamente gli anni settanta, quando gli operai potevano facilmente trovare un lavoro e con il loro salario potevano ambire a comperarsi una casa. Allora c’era lo Stato sociale e seppur in parte occupato a combattere il terrorismo che attaccava politici, magistrati e giornalisti, garantiva i servizi fondamentali a tutti.


Mi ritrovo oggi a constatare che se arriva un terremoto l’esercito per aiutare i paesi devastati non c’è più, il poco che è rimasto è impegnato all’estero in Iraq o in Afganistan dove non si capisce bene cosa vada a fare, lo Stato sociale è ogni giorno sempre meno assistenziale, la scelta politica è appiattita a tre coalizioni che paiono far a gara tra chi è più incapace di individuare e rimuovere gli ostacoli che minano i principi della Costituzione. In questa situazione la gente che protesta contro i politici, in modo convincente non la percepisco, quando da giovane le manifestazioni in piazza si sprecavano. Raccontare alle nuove generazioni che c’è stato un mondo diverso, un Italia diversa, certo perfezionabile, mi pare il primo passo per sapere a cosa aspirare.

In fondo anche i dialoghi che facevo io con i miei coetanei quando utilizzavo l’autobus erano segnali dello stato di salute che aveva il Paese, così come, per lo stesso principio, lo sono i dialoghi che si origlia oggigiorno. Io i miei segnali di allarme mi permetto di lanciarli al lettore, poi, se questi vengono da Voi condivisi o rifiutati, e soprattutto che azioni andare a concretizzare per modificare la realtà di cui siamo parte è argomento che lascio irrisolto anche, lo confesso, per limiti personali.

Mirco Venzo, Treviso 23/02/2017 #qzone
Foto Mirco Venzo

Rif 1 http://qzone.it/index.php/q-themes/mirco-venzo/232-...
Rif 2 http://qzone.it/index.php/q-themes/mirco-venzo/225-...
Rif 3 http://qzone.it/index.php/q-themes/mirco-venzo/198-...

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